Giacomo Scudellari, “Lo stretto necessario”: la recensione

Lo stretto necessario è l’esordio del cantautore romagnolo Giacomo Scudellari, prodotto da Francesco Giampaoli (Sacri Cuori). Un disco che vuole celebrare “il gusto onesto della Gioia con la g maiuscola” ribadendo che nella vita possono accadere cose belle o brutte. Ma l’importante è saperci bere sopra e non perdere l’occasione giusta.

Giacomo Scudellari traccia per traccia

Si parte dal Cantico della sambuca, già presentata come singolo, che apre con un improbabile incipit orientaleggiante, salvo aprirsi presto a sonorità tropical-etniche con umori molto più solari.

C’è atmosfera da big band e qualche pizzico di teatralità in Morirò in una taverna, altro brano leggermente alcolico. Un mese in Provenza è una ballata morbida e descrittiva, ma più animata nella seconda parte, con fisarmonica e molte “e” strette.

A poter scegliere è un brano vivace a elencazione, con molta fantasia sonora. Più composta La luna ha sempre, che si porta su sapori antichi, con un po’ di De André sparso a velo.

Chiedi e ti darò si tuffa in sonorità country, in un pezzo che cura bene i dettagli. Qualche tratto di morbidezze tropicali sottolinea Cose che sai. Tropicalia ma più mosse anche su Addio alla tristezza, che però non è proprio un addio, visto l’umore della conclusiva title track Lo stretto necessario.

Disco nuovo e sapori antichi per molte delle canzoni di Giacomo Scudellari, che su una base schiettamente cantautorale stende una decina di brani che, con l’aiuto di qualche bicchiere, celebrano una piccola festa di colori.

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