Si chiama Ten little dreams (and one bonus nightmare) il nuovo lavoro del combo post rock Go Ask Alice, che noi avevamo già conosciuto grazie al lavoro precedente Perfection is terrible (qui la recensione). Abbiamo rivolto qualche domanda alla band. Sotto l’intervista streaming e recensione del nuovo disco.
Vi conosciamo dal vostro precedente ep ma non abbiamo avuto modo di approfondire la vostra storia… Come e perché nascono i Go Ask Alice?
Lorenzo: come tutte le band, potrei iniziare dicendo che ci siamo costituiti per caso… d’altronde tutte le band sono nate per caso ???? A parte gli scherzi, noi ci siamo formati davvero per caso. La storia inizia nell’estate del 2011, in un periodo che col mio gruppo di allora si provava poco o nulla. Io avevo un po’ di musica che mi sbatteva in testa e per liberarmene, dato che non sono capace a scriverla, mi serviva il supporto della band in sala prove.
Mi è stato risposto di aggiornarmi, procurandomi una scheda audio esterna e registrare le idee da riproporre in tempi migliori, praticamente mi hanno detto di non scocciare ????. Così ho chiesto a Flavio una consulenza gratuita, perché da imperterrito bassista rock analogico di queste cose non ne capivo nulla, mentre lui che è un dj e produceva techno ed electro di queste cose era ferrato. E Flavio è stato così gentile da darmi una mano e aiutandomi ad arrangiare le tracce e pian piano, mi ha fatto conoscere un modo diverso di concepire le cose.
Flavio: … Io provengo da un percorso di elettronica/techno. Ho dato vita insieme ad altri musicisti a progetti/collettivi musicali, tra questi Audio Resistance, Digital force, Black Sam Records. Sempre in chiave elettronica/techno ho portato avanti ulteriori progetti come Galaxy Zoo e FlvMode. L’elettronica, i sintetizzatori, il sound design, l’utilizzo di effetti per manipolare i suoni, il foley recording, sono stati sempre al centro dei miei interessi, ma ad un certo punto ho sentito l’esigenza di scoprire e viaggiare attraverso nuove sonorità.
Così ho chiesto a Lorenzo una mano a rivedere alcune tracce che stavo producendo in quel periodo. Abbiamo così iniziato a lavorare su questo materiale, il mio e il suo, con metodologie e approcci differenti, montando e rismontando le tracce fino a quando, anziché fondersi, le nostre diversità sono letteralmente “evaporate”. Avevamo messo al centro di tutto le tracce, ci siamo messi a disposizione delle tracce, gli stili quindi erano tutti buoni e utili alla causa e qualsiasi idea veniva messa in mezzo senza pregiudizio alcuno.
Lorenzo: quindi, alla fine, nell’estate del 2013 avevamo pronte le otto tracce che poi sono confluite in Perfection is terrible e allora ci siamo chiesti che fare. Prima di decidere se registrare o meno, abbiamo deciso di provare a vedere se la nostra musica potesse avere un riscontro, così ci siamo costituiti ufficialmente e abbiamo iniziato un percorso live. Abbiamo fatto un po’ di concerti a Roma tra il 2014 e il 2015 e abbiamo riscontrato un discreto interesse tra gli ascoltatori, o quanto meno non abbiamo riscontrato una manifesta ostilità, tipo lancio di lattine di birra (piene), anche in contesti apparentemente poco favorevoli, come festival punk-rock o aperture di techno party.
Flavio: tra l’altro, proprio in uno di questi contesti abbiamo incrociato Elisa e Adriano di La Bél, a cui siamo piaciuti, che ci hanno sostenuto e ci hanno dato e continuano a darci una grossa mano. Così abbiamo deciso di continuare, abbiamo registrato Perfection is terrible e abbiamo iniziato subito buttare giù le idee per Ten little dreams, appena rimontato lo studio dopo l’ultimo live.
Da quali ispirazioni nasce Ten little dreams (and one bonus nightmare), il vostro nuovo disco?
Lorenzo: il disco nasce da spunti e concetti già affrontati nel precedente lavoro, sia musicali che concettuali. Dal punto di vista concettuale abbiamo approfondito il tema del “futuro”, così come in qualche modo era trattato sul nostro precedente ep, rispetto alla metafora del futuro che non ha mantenuto le promesse e ai riferimenti all’eterno presente della nostra epoca, al realismo capitalista cui abbiamo fatto riferimento nelle “note di copertina”.
Inizialmente, il disco avrebbe dovuto chiamarsi “la lenta cancellazione del futuro”, come da un passo di un recente libro di Franco Berardi. Questo è un tema che ci ha tenuto impegnati nelle nostre discussioni recenti, ossia di come la dominante culturale di nostri tempi abbia cancellato qualsiasi ipotesi di futuro.
Flavio: sono temi trattati per esempio, in Retromania di Simon Reynolds o a più riprese dal compianto Mark Fisher a cui avevamo pensato inizialmente di dedicare il disco.
Lorenzo: ispirazioni letterarie più che musicali, come vedi, anche se la musica è molto presente, quasi dominante, nelle considerazioni di Mark Fisher. Ritornando al discorso di prima, per spiegare in breve il nostro stato d’animo posso fare un esempio: quando con il mio primo gruppo studentesco volevamo fare una cover dei Sex Pistols.
Invece abbiamo fatto Spanish bombs dei Clash, perché i Pistols erano troppo vecchi. In realtà parlavamo di un pezzo uscito 3 anni prima ma ci sembrava già vecchio. Ora, è probabile che se avessi 15 anni adesso, non sarebbe per nulla sconvolgente iniziare con i Pistols, solo che di anni ne sono passati 42.
Flavio: facendo due conti, era come se ai tempi ti fossi messo a fare le cover di Elvis ????
Lorenzo: ma neanche Elvis… Frank Sinatra o addirittura Glenn Miller ????. Inconcepibile. Potrebbe sembrare il classico discorso del vecchietto impaurito che non riesce ad adattarsi al “nuovo”, la realtà è invece quella del vecchietto sconcertato dalla persistenza di forme vetuste, adattate a nuovo, nella musica e nella realtà di tutti i giorni. Dal punto di vista musicale siamo partiti da alcune considerazioni che avevamo letto in qualche recensione al precedente ep, definizioni tipo “retro-futuristic” o “crate diggers”. Bene, abbiamo pensato, anche noi, non volendo, intruppati nel pastiche e nei rimescolamenti temporali, in una terribile parola: postmoderni.
Flavio: noi in realtà vorremmo essere “futuristic” piuttosto che “retro”, ma dato che il giudizio dei critici è insindacabile, l’abbiamo preso per buono e ci abbiamo lavorato sopra. Il concetto chiave (se poi ci siamo riusciti o meno non ci è dato da sapere) è stato chiarire… ok nostalgia, ma nostalgia di cosa? Di certo non del passato, del “si stava meglio quando si stava peggio”… quando si stava peggio, si stava peggio e basta.
La nostalgia che proviamo non è per gli anni ’60 o ’70 ma per l’idea di futuro, di progresso che respiravamo, da piccoli, allora. Nostalgia del modernismo, ecco, l’ho detto, rispetto alla mucillagine postmodernista che respiriamo tutti i giorni. Abbiamo pensato molto ai Kraftwerk, al fatto che anche loro, hanno dovuto fare un bel salto all’indietro, alla Germania delle avanguardie, per risolvere il loro rifiuto della Germania “americana” degli anni 60, saltando a piè pari la Germania nazista. Una bella rincorsa per consegnarci la musica più visionaria e pregna di futuro che si sia mai vista in Europa.
Lorenzo: se non cito male, in un’intervista i Kraftwerk si definivano “arbeiter”, lavoratori, piuttosto che musicisti. Questa è una cosa che non c’entra nulla ma ci piace molto ????. Per ritornare alla musica, piuttosto che “ricombinare” abbiamo in qualche modo “isterizzato” e melodizzato il sound per renderlo paradossalmente meno credibile, più freddo, più fantasmatico rispetto ad un discorso puramente “crate digger”.
Ecco, fantasmatico forse è un termine corretto: abbiamo disseminato di spettri le tracce per creare un minimo di “perturbante” in un contesto sostanzialmente pop. Lo spettro è ciò che non è più ma anche e soprattutto ciò che non è ancora, ciò che è in potenza. Anche Marx ed Engels scrivono nella prima riga del Manifesto del Partito Comunista di uno spettro. Che non esiste ma già spaventa.
Quanto c’è di veramente onirico nei pezzi di questo disco?
Lorenzo: onirico… onestamente non saprei se le nostre tracce siano oniriche o meno. Fantasmatico forse ???? Di certo le discussioni da cui traggono origine le idee che poi finiscono in musica non sono oniriche, ma osservazioni della nostra vita e da quello che ci accade in giro. I sogni e l’incubo a cui fa riferimento il titolo sono riferiti alla realtà di tutti i giorni. Poi se questa somiglia a un incubo…
Flavio: forse più che onirico, per le nostre tracce userei il termine “visionario”, nel senso letterale del termine, perché in genere, quando componiamo, per descrivere le sensazioni che vorremmo trasmettere, ricorriamo spesso a metafore di tipo visivo, cioè, descriviamo quello che vorremmo fare in quasi in termini cinematografici, come se stessimo descrivendo un’azione.
Lorenzo: questa tra l’altro è una cosa che gli ascoltatori ci hanno detto spesso. D’altronde, tra di noi, quando ragioniamo su una nuova traccia ci diciamo “guarda ‘sta cosa” piuttosto che “senti questo”. Qualcosa vorrà dire…
Tre nomi imprescindibili nella vostra playlist?
Lorenzo: solo tre? Oddio, io ascolto di tutto, in modalità rigorosamente shuffle. Butto giù tre nomi a caso: Boards Of Canada, Art Bears e Harmonia, e comunque sto facendo un torto a un sacco di bella gente.
Flavio: … come ha detto Lorenzo, so che sto facendo del torto a tanti altri musicisti e band che adoro. Comunque tornando a noi direi Aphex Twin, James Holden e AIR.
Avete scelto di non fare live: potete spiegare i motivi della scelta?
Lorenzo: non è una scelta definitiva, è per ora una scelta legata al fatto che siamo solo in due ed è difficile riproporre dal vivo quello che facciamo in studio, senza dover riarrangiare in maniera drastica le tracce. Quindi più una scelta legata alla difficoltà tecnica di dover fare tutto in due che una scelta di stile …
Flavio: E’ vero, oltre alle difficoltà tecniche, che ci sono, a noi piace molto e prediligiamo il lavoro in studio, comporre, tirare giù idee e non siamo mai stati a nostro agio nelle dinamiche da sala prove, tipo prova e riprova cento volte. Comunque la questione live è spesso al centro delle nostre chiacchierate e l’idea certa è che ci piacerebbe, in futuro, collaborare con video maker perché in generale lo vediamo anche completamento della nostra musica. Pertanto più che di una esibizione live ci piacerebbe ragionare su un discorso di performance multimediale.
Go Ask Alice traccia per traccia
L’introduzione al disco prende subito pieghe suggestive: la lunga Sudden Dream che apre l’album si ricollega ai terreni del post rock ma con qualche tentazione “spaziale” che occhieggia qui e là.
Parte piano ma non troppo sommessa Capricorn, che però sorge gradualmente, fino a raggiungere un certo grado di potenza e di esposizione.
Effettivamente dreamy l’atmosfera di Circle, un loop di suoni argentini che poi si tramuta in un tragitto contrastato. Echi di King Crimson e di altre divinità progressive si palesano durante il brano.
Un considerevole lavoro di basso sta a reggere Memories of a sunny place (to Aureliano), che palesa tutte le influenze 70s.
Voci di natura governativa, per così dire, presiedono a 1979… and it’s forever, appoggiata su un tappeto sonoro semplificato ma anche evocativo.
Voci lontane e quasi indistinguibili contano sul fondo di 491250, che accenna a ritmi e suoni quasi synth pop.
Intermission regala atmosfere morbide e quasi fiabesche. Spunta in modo graduale ssssun!, che imposta presto un ritmo e sensazioni che sembrano mutuate da certa elettronica pop internazionale degli anni Novanta.
Si procede verso scenari chiaramente fantascientifici con Supernova (Nova alternate take), mentre Born Again(st) si muove in direzioni un po’ più placide. Si chiude con Capricorn (reprise), tra versi di uccelli acquatici.
Raggiunge una certa complessità la produzione dei Go Ask Alice, capaci di mostrare molte facce diverse nel percorso dell’album e di affinare produzioni e arrangiamenti, ottenendo un lavoro centrato e molto equilibrato.