Granada Circus: “Vertèbra”, la recensione
Granada Circus traccia per traccia
Si parte con una Zero Zen veemente e intensa: le atmosfere sono indie rock, ma i momenti che la canzone attraversa sono mutevoli. Apprezzo a stento è accelerata e mette in evidenza un drumming potente ma anche versatile. Si alza ulteriormente il ritmo con Pachiderma, che indurisce i suoni pur mantenendo il suono sempre fresco e incline ai cambiamenti.
Batteria e chitarra costruiscono le basi di Tina, che piano piano accoglie anche gli altri strumenti per una prova piuttosto muscolare. Drumming protagonista fin dall’inizio anche in Indi Toys, che però segue poi strade che portano in territori confinanti con il funk. Momenti diversi quelli che trascorrono all’interno di Barcelona, che parte quasi intima salvo poi aprirsi progressivamente e alzare i toni bruscamente nel finale.
Parte subito correndo invece Sanpietro, confermando le sonorità indie rock e permettendosi qualche svolazzo in uno strumentale piuttosto tirato. Niente di strano è meno diretta, preferisce nascondersi dietro suoni new wave e passaggi oscuri, inserendo la chitarra a mo’ di grimaldello.
La sedia di Vincent si scopre cruda, sia a livello di testi sia per l’aggressione continua della musica, che si spinge in terreni non lontani dallo stoner. Mantiene lo stesso livello di rabbia anche Sotto spirito, che dopo un’intro con voce filtrata apre i cancelli e lascia che l’energia della band emerga, ottenendo spazio anche per qualche dissonanza. Si chiude sacrificando al dio egizio della morte, Anubi, ballata elettrica che conta su fasi differenti e su una batteria ancora una volta al centro dell’attenzione.
Buon disco e buona la qualità di esecuzione della band, che mostra di poter suonare brani anche molto differenti tra loro, occupando spazi sonori distanti. L’album possiede fluidità e capacità d’impatto, e sicuramente anche dal vivo procurerà numerose soddisfazioni ai Granada Circus e ai loro spettatori.