Humus è un progetto nato a Trento nel 2012 ed è composto da Marco Palombi (Voce, chitarra), Lorenzo Faes, Stefano Negri e Fabrizio Lettieri. Non è giusto è il nuovo lavoro della band.
Nel 2013 producono il primo ep Uno alla volta, dalle sonorità crude e graffianti che caratterizzeranno l’intera produzione successiva. Nel 2017 la band approda tra i banchi del Blue Noise Studio di Fabio de Pretis e dalla collaborazione nasce Cambia Voce, album di dieci tracce masterizzato da Andrea Suriani nell’Alpha Dept Studio di Bologna. Inizia così un’intensa e lunga promozione dal vivo in tutta Italia che porta alla condivisione del palco con importanti gruppi della scena rock nazionale e internazionale come i Ministri, Gazebo Penguins, Gogol Bordello.
Successivamente cominciano a lavorare al secondo album registrato presso il Monolith Recordings Studio di Filippo Buono. Anticipato dai singoli Disastro e Se ne riparla domenica il disco è pubblicato e distribuito in tutta Europa da Overdub Recordings via CODE 7 Distribution / Plastic Head Megastore.
Humus traccia per traccia
Il disco parte da Offre la casa, che allunga l’introduzione ma poi quando incomincia pesta di brutto, sia per i suoni sia per il testo.
Se ne riparla domenica racconta di rapporti piuttosto tossici, con dosi di aggressività trattenuta sulle prime e poi sfogata in maniera abbastanza sfrenata.
E’ la chitarra a evocare il Disastro, presto affiancata dal drumming. “La miglior difesa è l’ostilità”, dice un brano che è un’esortazione a salvarsi, anche salutando dal baratro.
Arriva poi Qui si decide, che sviluppa un suono consistente, mentre il cantato cerca di gettare il “panico”, e tendenzialmente ci riesce. Poi si batte sull’Incudine, minacciosa e suonata a tutto volume, con sensazioni stoner.
Si parla di errori, vendette e consolazioni impossibili in Parlami: il dialogo però è sempre svolto con toni decisamente aggressivi. “Da una medaglia alla decapitazione”: si passa rapidamente da un estremo all’altro in un’altra, potente, traccia come Il male minore.
Cambia voce chiude il disco con atmosfere molto più notturne. “Giuro sono stato anche normale/rimboccavo le coperte alle puttane”: accostamento un filo incongruo ma il brano è molto intenso e sentito.
Qui e là gli Humus possono ricordare questo o quel nome del rock italiano di svariati decenni. Ma muovendosi in un ambito in cui è già stato inventato e suonato parecchio, ci sta. Però la carica della band è abbastanza potente e sincera da far saltare comunque il banco, in quasi mezz’ora suonata a tutta forza.