Qualche tempo fa è uscito La febbre del venerdì 13 (qui la recensione), omonimo album d’esordio di Andrea Zucaro: sotto il moniker si cela un autore che ha dichiarato senza remore il proprio amore per il pop-rock anglosassone e che ha condensato le proprie qualità in un disco che ha avuto buoni riscontri. Ecco la nostra intervista.
Puoi raccontare come nasce il progetto “La febbre del venerdì 13”?
Era un venerdì 13 del luglio 2012… scoccò quella notte la scintilla che mi fece decidere di ‘staccare’ per un po’ con il discorso ‘band’ per lanciarmi in un’avventura completamente nuova, da coltivare da solo e clamorosamente in Italiano. All’epoca avevo in tasca un solo brano pronto e mai usato (‘Sfidi Mai’) e da lì ho cominciato a costruire, disegnare, fischiettare, modellare un progetto che potesse parlare in Italiano, ma senza essere asservito agli schemi, ai cliché, a certe metriche della ‘canzone italiana’. Volevo si sentisse prima di tutto il rock, la batteria, e poi, quasi in lontananza, le parole della lingua che ho sempre parlato, ma poco -pochissimo- cantato.
Il tuo disco è fortemente ispirato alle sonorità del pop-rock anglosassone: quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?
Quando ero bambino ho immagazzinato, anche mio malgrado, una notevole quantità di musica anni ’80/90 che mi ha lasciato, credo, una forte propensione per le melodie a presa diretta. La svolta adolescenziale è stata sostanzialmente una fissa per gli Oasis e tutto ciò che di punk, acustico, ”’indie”’ vi ruotava attorno.. dai Beatles, loro padri, agli Strokes, loro figli. Al momento ascolto in loop il nuovo album di Brandon Flowers ‘The Desired Effects’, quasi una sintesi di tutto quello che ho nominato: fra Annie Lennox e Lou Reed.
La febbre del venerdì 13: nessun vincolo
Benché il progetto sia improntato a un lavoro solistico, ti sei fatto aiutare da numerosi amici e colleghi nel disco: prevedi che La febbre del venerdì 13 rimanga un discorso soltanto tuo oppure hai qualche idea di “allargarti” e farlo diventare una band, viste anche le caratteristiche della tua musica?
Mah, nulla è precluso…il nome stesso – mi dicono – fa più pensare a una band che a un solo. Verosimilmente avrò sempre bisogno del supporto di altri musicisti, ma in tutta onestà il bello di questo progetto è che mi permette di non avere nessun vincolo, né di immagine, né di ruoli, niente di tutte quelle menate.
Come nasce “La sorte dei cantanti”?
“La Sorte dei Cantanti” è nata in doccia: stavo canticchiando e immaginandomi violini, verbi alla 3^ persona plurale, un immaginario alla Baustelle. Ricordo di essere uscito, ancora fradicio e di essermi catapultato a registrare il primo demo con parole a caso. Il testo, quasi un ricettario di cliché sui cantanti e sulle band, è venuto molto dopo. La produzione, infine, si basa sul sound di certe b-side semi acustiche degli Oasis, come It’s better people, pezzo che ho ascoltato allo sfinimento durante le registrazioni all’Outside Inside Studio.
E ora la domanda di chiusura: siccome si sa che il grande successo musicale si raggiunge principalmente costruendo delle rivalità fasulle (Beatles/Stones, Blur/Oasis, Albano/Romina eccetera), ti chiederei di sceglierti uno o più rivali e di criticare, anche per finta, i tuoi colleghi, che poi ti risponderanno per le rime e tutti venderete molti più dischi. Che ne dici?
Tutte le rivalità che hai citato sono in realtà molto simili fra loro e, Albano e Romina a parte, sono anche grandiosi allo stesso livello. Io cito Le Strade, band di Bologna, perché, appunto, sono gli unici là fuori che provano a fare rock figo in Italiano, suonando inglesi, ma cantando in madrelingua, per cui ben venga un bel vaffanculo al loro indirizzo se poi ci varrà la copertina del prossimo NME.