Intervista: Nobody Cried for Dinosaurs, al malumore non ci penso
Quattro tracce di puro divertimento, o giù di lì: i Nobody Cried for Dinosaurs hanno scelto il disimpegno, almeno per un ep, e hanno sfornato Ten Billion Years Later (qui la recensione), tra chitarrine, palme, dream pop e colori caldi. Abbiamo rivolto qualche domanda a Gabriele Gastaldin e Federico Cavaglià.
Domanda banale, per iniziare: perché un ep a tema così vacanziero e spensierato dalla prima all’ultima traccia?
Gabriele: Non è stata una scelta studiata, da sempre i nostri ascolti sono popolati da band che almeno a livello strumentale propongono sonorità molto “allegre” e noi volevamo scrivere canzoni che facessero ballare il pubblico ma in primis che potessimo ballare noi sul palco.
Federico: In generale troviamo che la vita dia in abbondanza spunti per essere tristi e che quindi quello di fare musica un po’ naive sia un ottimo modo per dire: “ok, alcune cose non vanno ma non me ne frega nulla, c’è il sole, ci sono le palme, ci sono i miei amici e al malumore non ci penso”.
Potete raccontare qualcosa dell’ideazione e della realizzazione di tutte e quattro le tracce che si trovano sull’ep?
Abbiamo cominciato a scrivere pezzi nuovi a fine 2014, ci siamo presi 8 mesi di pausa dai live per scrivere il più possibile in autonomia noi due con l’aiuto saltuario di alcuni amici/membri del collettivo. Finito quel periodo insieme ai ragazzi con il quale abbiamo registrato l’EP abbiamo arrangiato le parti mancanti e cominciato a fare un po’ di pre-produzioni.
Come detto prima da Gabriele volevamo fare qualcosa da ballare, lasciarci un po’ alle spalle le sonorità lo-fi per abbracciare il “groove”. Seguendo questa filosofia sono nati i due pezzi cardine dell’ep: “Fantasy” e “Piña Colada”. Il primo è un brano synth pop, caratterizzato da un riff di synth un po’ anni ‘80 e portato avanti da due chitarre che si incastrano con ritmi diversi nelle strofe e negli stacchi.
Il secondo, è un pezzo un po’ tropicaleggiante, da un po’ cercavamo l’occasione giusta per inserire alcuni nostri pallini, tipo il falsetto e il sax e Piña Colada era adatto a ospitarli entrambi. Per il sax ci siamo avvalsi dell’aiuto di Roberto Dibitonto (sassofonista dei Cereal Killers) per registrare le parti che avevamo scritto a tale scopo, è stata un esperienza molto stimolante che vorremmo ripetere in futuro.
Rave, il secondo brano di Ten Billion Years Later riprende un po’ il nostro ep d’esordio, è un pezzo rock, che strizza l’occhio ad alcune cose dei Vampire Weekend, con la batteria del ritornello caratterizzata da linear drumming e da riff un po’ hawaiani. Per concludere Mexico l’ultimo pezzo dell’ep è un lento, il nostro primo, è l’unico brano che abbiamo registrato in presa diretta. In questo pezzo vengono fuori un po’ alcuni nostri ascolti africaneggianti come Graceland di Paul Simon ma anche un po’ di Sud America tipo Devendra, Rodrigo Amarante e i Little Joy.
Nobody Cried for Dinosaurs: evolverci rimanendo fedeli
Si può interpretare questo ep come “antipasto” di un futuro lavoro che ne condividerà l’umore, oppure ora cambierete strada?
Abbiamo già un po’ di bozze che ci piacciono molto e sulle quali non vediamo l’ora di lavorare non appena le date e i vari impegni legati all’uscita dell’ep ci lasceranno il tempo di ricominciare a produrre. Sicuramente alla base di tutto il nostro songwriting c’è una “filosofia” e un modus operandi che è rimasto sempre lo stesso negli anni, quindi come ci sono elementi comuni fra il primo ep e il secondo anche il prossimo lavoro sarà sicuramente “collegato” ma non sappiamo con certezza quali sfumature si aggiungeranno al nostro bagaglio musicale. L’intenzione è di continuare a evolverci rimanendo fedeli alla nostra idea originale (e di non estinguerci come i dinosauri).
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Abbiamo registrato TBYL al Blend Noise Studio di Milano con l’aiuto di alcuni membri del nostro collettivo, in primis: Giacomo Di Paolo (basso), Loris Giroletti (batteria) e Lavinia Siardi (tastiere e cori). Abbiamo una discreta passione per il vintage e gli anni ’80 in generale, quindi abbiamo sfruttato per le chitarre ritmiche il Roland Jazz Chorus di Gabriele e per le soliste abbiamo registrato entrando direttamente nei pre-amplificatori Telefunken dello studio per ottenere un suono un po’ plasticoso alla Phoenix.
Per i synth abbiamo fatto molte prove nel tentativo di avvicinarci il più possibile ai suoni che avevamo in mente, comunque buona parte dei suoni provengono da un Roland Juno 106, abbiamo poi utilizzato anche: Korg Poly-800 (sfruttando principalmente il sequencer), Casio CZ-101, Siel Orchestra 1 e 2 e una Yamaha DX7.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
La scena indipendente italiana è piuttosto ricca di progetti validi in questo periodo. Nell’ultimo anno abbiamo avuto la fortuna di condividere il palco con un po’ di band che stimiamo molto, in primis, citiamo Flamingo che noi seguiamo molto da vicino, è il progetto solista di Lavinia Siardi una dei membri del nostro collettivo, il suo ep d’esordio al quale abbiamo entrambi collaborato in maniera diretta è uscito a inizio mese e sta riscuotendo notevole successo.
Insieme a lei abbiamo fatto le prime 5 date del tour e ci sentiamo molto fortunati per aver avuto la possibilità di suonare insieme a lei. Poi per affinità personali e musicali direi: Osc2x e O A K. Entambi progetti Synth Pop bolognesi validissimi, miniere di spunti per migliorarci come musicisti e come autori. Sono il genere di gruppi che fanno bene alla “scena” indie.