Ivan Talarico, “Un elefante nella stanza”: recensione e streaming

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Un elefante nella stanza è il primo disco di Ivan Talarico ed è uscito per l’etichetta Folkificio. Le dodici canzoni sono state scelte tra i brani che Ivan da anni porta in concerto in tutta Italia.

Sono “canzoni leggere come nuvole in un giorno di pioggia”, che affrontano con determinazione, poesia e ironia la realtà che ci circonda e ci invade, passando dall’incomprensione (di coppia, ma anche con gli altri e soprattutto con se stessi) all’impossibilità di vivere senza paure, dalla natura effimera e volubile dell’amore al fallimento degli ideali, alla consolazione delle piccole cose.

“Tutto avrei voluto fare tranne un primo disco a 37 anni – racconta Ivan – Ormai pensavo di essere arrivato tardi, quindi volevo lasciar perdere e progettare un esordio prematuro nella prossima vita. Ma ho scritto troppe canzoni e piano piano lo spazio in casa è finito. Canzoni nei cassetti, canzoni negli armadi, canzoni nella vasca da bagno. Allora mi sono convinto a fare un disco senza sapere in che modo. Per fortuna in quel momento ho incontrato Filippo”.

La produzione artistica è di Filippo Gatti (cantautore e già produttore di Bobo Rondelli, Riccardo Sinigallia…), che ha lavorato per trovare un suono che non perdesse la forza delle esibizioni dal vivo, maturata in anni di concerti, ma che andasse oltre per diventare autonomo e compiuto.

La produzione esecutiva è di Gian Luca Figus, che inaugura con questo disco le uscite della neonata etichetta Folkificio.

Ivan Talarico traccia per traccia

Dopo l’introduzione bizzarra di Ho molte cose da dire, ma non mi so spiegare, ecco Eppure noi viviamo ancora, ritmata e piuttosto appassionata, portatrice di un cantautorato intenso.

Andirivieni blu è un pezzo curioso, con un po’ di fiati e un po’ di synth, con un pochino di Battisti sullo sfondo e uno sviluppo non usuale.

C’è il pianoforte ne L’elefante, ricca di metafore non proprio d’aspetto gentile, che risultano in una canzone d’amore triste un po’ fuori quadro.

Un giochino, un divertissement o qualcosa di simile è Carote d’amore, riempita zeppa di giochi di parole.

Qualche immagine più seria in Battito d’ali, la cui aria complessiva però è alleggerita dai suoni sintetici.

Intermezzo un po’ surreale, tra il folk e Alberto Fortis, Il mio occhio destro ha un aspetto sinistro. Si torna più o meno seri con Sgombro, con un mood malinconico di pianoforte ma con un testo abbastanza fantasioso, tra filetti e filosofia.

Torta di male mette in piedi una sorta di piccolo teatrino (del male) con chitarra acustica, esplorando il tema in maniera molto esauriente.

Molto più intima e tranquilla Senza assenso, narrante di un amore magari un po’ in minore ma non per questo meno importante.

Altri torrenti di parole e di pensieri curiosi in Ho saputo che stavi per morire, qui con un pochino di Lucio Dalla come riferimento ma anche con uno stile molto originale. Ultimo episodio curioso Ho superato me stesso, mi aspetto al bar per bere una cosa insieme.

Un esordio rallentato, e perciò più maturo: Ivan Talarico ha maturato molta esperienza e un buon pacchetto di canzoni che vanno a comporre un disco molto divertente ma anche vario d’umore e di suoni.

Genere: cantautore

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