John Lennon: e se Chapman avesse sparato a Yoko…? #sottotraccia

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Con l’umile ma malcelata ambizione di fornire ai lettori di TRAKS qualcosa di “diverso”, che si possa leggere accanto, insieme, sopra e sotto la musica che accompagna le nostre giornate, questo agosto abbiamo deciso di proporre o riproporre alcuni articoli monografici che abbiamo scritto in passato, per lo più su altre testate, e che non volevamo andassero persi. Letture estive, ma anche per ogni stagione.

Chi può dirlo? Magari se fosse ancora vivo, John Lennon avrebbe vinto il Nobel prima di Bob Dylan. Forse le sue canzoni portavano messaggi meno rilevanti dal punto di vista letterario, visto l’impatto della poetica di Dylan sulla poetica americana contemporanea. Ma il lavoro di Lennon, pre e post scioglimento dei Beatles, ha toccato vertici di originalità anche maggiori. E fin qui, la parte positiva.

Ma cosa sarebbe stato di John Lennon se fosse arrivato vivo fin qui? L’autore di Strawberry Fields Forever avrebbe avuto 83 anni. Gli occhialini tondi, i capelli più bianchi, i concerti sempre pieni, come quelli dell’amico-rivale Paul McCartney.

Ma sarebbe rimasto un pensatore originale, alternativo, controcorrente? Difficile. Tanto per cominciare, nessuno rimane creativo per tutta la vita. Non alla stessa maniera, almeno. Lo provano centinaia di carriere musicali, artistiche, letterarie, scientifiche. È umano: la gioventù porta con sé un turbinio di idee che piano piano finiscono per depositarsi, in un progressivo spegnimento di scintille.

Negli anni Sessanta, con i Beatles, Lennon aveva palesemente stravolto il mondo della musica, sia per le soluzioni sonore adottate, sia per la struttura dei testi, sia per tutte le clamorose idee che hanno caratterizzato il decennio (circa) che ha visto i Fab Four in attività.

E non prendiamoci in giro: McCartney è sempre stato un eccellente autore di canzoni pop perfette, da Yesterday a Hey Jude a Michelle. E che dire di George Harrison? Per anni messo in un angolo perché era il ragazzino del gruppo, quando fu libero di mostrare le sue abilità di autore sciorinò pezzi come While my guitar gently weeps. E quelle scritte da Ringo? Ok, qui si scherza.

Ma il genio, il vero genio era senza dubbio Lennon: è stato lui il motore e il propugnatore della rivoluzione pop, e quando Yoko lo ha portato via ha continuato a spingere verso il cambiamento, utilizzando anche altri strumenti: l’arte, i media, la politica. Forse troppi strumenti.

Perché il declino, per John, era già iniziato. Ed è del tutto evidente se si giudica proprio la sua canzone più celebre, almeno fra quelle scritte da solista. Sì dai, basta reticenze, basta giri di parole. Parliamo di Imagine. Si può parlare male di Imagine? Il totem, il simbolo, la canzone della pace universale?

Non solo si può: si deve. Intanto la melodia è banale. Il che è ciò che ha aiutato il suo successo universale. Ma non è esattamente quello che conferma la precedente fama di genio. E poi anche il testo. Ci sono un paio di cardini forti (l’assenza di religioni, l’assenza di nazioni) ma le idee utopistiche sono immerse in un mare di melassa talmente colloso che non si riesce a non restarne invischiati.

Ma il danno maggiore è legato all’immagine, si perdoni il gioco di parole, che è rimasta attaccata a Lennon dopo quella canzone. Anzi, più che l’immagine, l’immaginetta: un santino con la faccia di Lennon in un cielo azzurro con qualche nuvoletta morbidosa e Imagine in sottofondo. È così che viene spiegato e spesso percepito Lennon oggi.

Eppure era uno che aveva scritto con cattiveria, a volte perfino con crudeltà, in modo provocatorio. Ascolti Woman is the Nigger of the World, leggi le descrizioni dei massacri di Sunday Bloody Sunday, ti confronti con le realtà crude di Working Class Hero e ti chiedi che cosa c’entrino le nuvolette e la melassa di Imagine.

C’entrano perché il genio invecchia, perché la rabbia si smorza, perché le idee declinano, perché avere di fianco Yoko Ono per decenni alla lunga probabilmente ti fa desiderare un mondo migliore

Impossibile sapere che cosa sarebbe stato di John Lennon oggi. Difficile immaginare che sarebbe stato di lui e delle sue intemperanze giovanili, delle sue provocazioni (era pur sempre quello che un giorno scese da un aereo e disse di sé e dei suoi tre amici: “Siamo più famosi di Gesù Cristo” e non aveva neanche tutti i torti) se Mark David Chapman non fosse stato ispirato da un libro, anch’esso sopravvalutato, come Il giovane Holden, e non gli avesse sparato davanti al Dakota, l’8 dicembre 1980.

Forse si sarebbe ripreso, avrebbe capito che la piega che stava prendendo la sua musica era negativa e avrebbe abiurato se stesso. O forse sarebbe più probabilmente invecchiato, intristendosi e deludendo i suoi numerosi estimatori.

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