A quattro anni dall’ultimo disco Piano Escape esce Abyss (sottotitolo Earth Sky and Wind) il nuovo album di Katia Pesti per RadiciMusic Records. Abyss si compone di tredici brani e vede la partecipazione di un artista tra i più rappresentativi del panorama internazionale: Gabin Dabirè, cantante, musicista e compositore proveniente dal Burkina Faso.
Ogni brano contiene un sigillo dell’identità migrante dei popoli; nel brano Rolling Bones i corpi sonori scorrono gli uni sugli altri sulla linea di Fior d’Acqua e vengono a galla sulla superficie di questo album discografico attraverso la voce di Elaine Trigiani. I brani Fingerprint e Blood and bones sono interpretati da Gabin Dabirè.
Katia Pesti traccia per traccia
Humanity is Divergent apre il disco in maniera composta, introducendo però già in modo proprio e congruo allo stile pianistico di Katia Pesti. Fingerprint registra il primo intervento di Dabirè, la cui voce si amalgama al meglio con il piano, offrendo contrasti di luci e ombre.
La title track Abyss scivola lungo cascate di note: l’impostazione è senza dubbio classica, ma c’è una vivacità di fondo, soprattutto a livello ritmico, che collega il lavoro a produzioni più recenti. Nella seconda parte del brano emergono nervosismi più vicini al jazz.
Rolling Bones, con l’intervento, sussurrato, di Elaine Trigiani, si apre con i suoni scomposti delle “ossa rollanti” e con un senso di inquietudine che serpeggia. Qui il piano non appare, ma il pezzo suona come collante naturale, più che come intermezzo.
Una breve e piuttosto torrenziale Gleams lascia posto a una seconda lettura di Fingerprints, questa volta più innervosita e colorata di suoni ambivalenti.
Copper piove con insistenza e continuità, con tratti molto fitti ma anche con un contrasto evidente tra lavoro ritmico e melodico. Le dissonanze quasi punk di Rips fanno seguito, ma questa volta è soltanto un intermezzo.
La lunga introduzione a Blood and Bone vede suoni isolati di archi. Poi nel corpo della canzone rientra la voce di Dabirè, stavolta molto più scomposta, frammentata, gutturale e impressionista.
Si recupera compostezza, sulle prime, con la malinconia di Iris, ma anche qui c’è qualcosa di smosso, di non determinato che si agita sullo sfondo.
Moon Stone è una pietra lunare isolata in un’aria rarefatta, costituita prima da pochi suoni isolati e poi raggiunta da una piccola marea montante che arriva ad acquistare accenni di dramma.
La chiusura è ancora “lunare”, almeno sulla carta, con Rhytmic Moon: qui, pur non avendo il brano aspetti inquietanti, è una luna più vicina a quella di streghe che danzano alla luce del plenilunio, piuttosto che a un satellite statico e ammiccante.
Il pianoforte di Katia Pesti è il centro dell’album ma non è tutto l’album: con intelligenza, la pianista arricchisce il disco di molte sensazioni differenti, circondandosi di atmosfere ora etno ora cinematografiche ora di più difficile collocazione. Il risultato è un disco passionale e razionale insieme, dotato di una forza molto intensa.