In anteprima assoluta TRAKS ti sta offrendo in questi giorni La Fabbrica delle Nuvole, esordio solista di Livio Rabito (qui recensione e streaming). Un disco delicato e introspettivo, per il cantautore che ha un passato accanto a Eneide, Randone e Baciamolemani. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Hai alle spalle una storia musicale già piuttosto ricca. L’idea di presentarti come solista è recente oppure “antica”?

In realtà ho sempre pensato che prima o poi sarebbe arrivato il momento di dar vita a un mio progetto personale; tante sono le idee custodite nel cassetto, tante le mie esperienze da raccontare e tanti i motivetti musicali che girano sempre dentro la mia testa. In passato ho suonato il basso elettrico in compagnia di amici, fratelli musicanti con cui ho condiviso intense esperienze di vita. Nel 2013   ho deciso di aprire quel cassetto e ho selezionato undici brani che, pian piano, hanno preso vita tra le mura della “Fabbrica delle nuvole Studio”, casa mia.

Hai iniziato a lavorare al disco nel 2013: che cosa ha prolungato i tempi, cura del dettaglio, incidenti di percorso oppure altre collaborazioni?

Chi mi conosce, sa perfettamente che la realizzazione di un disco per me non è  cosa semplice. Rimarrei ore e ore ad ascoltare tre note che girano intorno alla stanza, e se le note sono quelle giuste, messe in fila una dietro l’altra e vestite di un bel suono, allora tutto questo diventa per me molto affascinante e nello stesso tempo pericoloso. Quando ho iniziato ad arrangiare il disco ho chiuso gli occhi e li ho riaperti soltanto adesso, nel 2017. Non so cosa sia successo in questi tre anni, mi sarò addormentato al suono di quelle tre note.

Insieme alla tematica delle nuvole c’è un’atmosfera di sogno che pervade tutto il disco. In quale tipo di umori e sensazioni sono cresciute e “macerate” le canzoni del disco per ottenere questo tipo di risultato?

In qualche modo le tre note di cui parlavo prima, che fluttuano nell’aria creando quelle atmosfere oniriche, sintetizzano il concetto che gira intorno alle undici canzoni. Mi piace molto la semplicità delle cose, l’autenticità e il mettermi a nudo di fronte l’ascoltatore, e già immagino la reazione delle lettrici… scherzi a parte, credo che l’identità di questi brani stia nel connubio tra le intime emozioni che ho trasformato in parole e le note ricamate intorno a esse.

I miei brani parlano di sogni bizzarri, di nuvole, di amori perduti e di intime esperienze che hanno toccato le corde della mia creatività. Il sound della Fabbrica delle Nuvole è stato impreziosito anche grazie alla collaborazione di tanti Amici musicisti che hanno interpretato e reinterpretato al meglio le parti strumentali che da tempo ho avuto in testa. Finalmente quelle note hanno trovato pace tra le tracce del disco.

Come nasce “Polvere di stelle”?

A volte le canzoni nascono da un’emozione forte che si prova durante un istante, un preciso momento in cui qualcosa cattura, avvolge e segna dentro. Senti qualcosa, un’emozione che percepisci soltanto tu, davanti un tramonto, durante un incontro, tra le pagine di un libro. Qualcosa segna e commuove a tal punto da scrivere una poesia o una canzone.

Polvere di Stelle è nata durante una delle mie letture notturne, un tempo, quando ancora avevo energie per tuffarmi dentro un romanzo di milleduecento pagine. Il libro in questione è Shantaram scritto da Gregory David Roberts, un dono che qualche anno fa mi fece una persona speciale. Arrivato a pagina 598  qualcosa mi ha colpito, mi sono ritrovato a passeggiare verso il molo di Colaba in compagnia di Khader Khan e delle sue interessanti argomentazioni sull’universo.

La Fabbrica delle Nuvole: in giro per le vie del Paese

Puoi descrivere i tuoi concerti?

Per adesso il mio obiettivo più importante è stato raggiunto: materializzare un Album che da qualche anno ha accompagnato i miei pensieri. L’intenzione è sempre stata quella di avere un disco tutto mio da tenere in auto e ascoltarlo nei lunghi viaggi ed è un peccato che la mia nuova automobile non abbia un lettore cd, perché forse mi toccherà rielaborare il finale della storia e, chi lo sa, mettere su una band e ritornare a fare qualche live in giro per le vie del Paese.

Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimi di più in questo momento e perché?

Mi piace seguire Festival musicali e concerti in ogni dove e la mia bacheca di biglietti in cucina può dimostrarlo. Sono felice del fatto che la musica non finirà mai di stupirmi e, di tanto in tanto, nuovi musicisti, band e cantautori spuntano come funghi sui i prati dei miei ascolti. In Italia tanti artisti suonano al di fuori del bacino mainstream, tra questi DiMartino e Colapesce, siciliani anche loro, sono artisti che seguo ormai da qualche anno.

Nei concerti la band di Antonio DiMartino è sempre una piacevole scoperta perché trasporta facilmente sul palco le sonorità dei propri dischi: begli arrangiamenti, bel ritmo, belle melodie bei testi. Stessa impronta emozionale, più intima e malinconica, la ritrovo nei dischi di Colapesce le cui idee strumentali e particolari atmosfere mi portano in oasi lontane.

Con Lorenzo tra l’altro hanno collaborato due cari amici: Vincent Migliorisi alle chitarre e Peppe Burrafato alla batteria, entrambi presenti tra i musicisti che hanno contribuito alla nascita del disco La fabbrica delle nuvole, lavoro edito dallo stesso Vincent per la propria neo etichetta MaiOhm Records.

Puoi indicare tre brani, italiani o stranieri, che ti hanno influenzato particolarmente?

Come primo brano cito Coming back to life, traccia che si trova all’interno del disco The division bell dei Pink Floyd. Questo brano mi ha rapito dal primo momento in cui l’ho ascoltato e lo considero un ritorno vero e proprio alla vita. Le chitarre e le voci di Gilmour mi danno una pace ultraterrena e il Solo finale mi fa venire la pelle d’oca ogni volta che lo ascolto.

Come secondo brano cito E ti vengo a cercare perché Franco Battiato per me è sempre il Maestro. Questa canzone, come tanti altri suoi capolavori, mi riporta indietro nel tempo e mi lega a delle esperienze importanti della mia vita.

Come terzo brano cito Birds, uno dei brani più belli dei Radiodervish: malinconico, mistico e pieno di energia.

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