Si corre parecchio, dalle parti dei Nadàr Solo, terzetto torinese composto da Matteo de Simone, Federico Putilli e Alessio Sanfilippo che hanno realizzato già un paio di album, qualche ep e hanno condiviso palchi e collaborazioni con nomi eccellenti (Teatro degli Orrori, Perturbazione, Tre Allegri Ragazzi Morti, Pierpaolo Capovilla, Zen Circus).

La band arriva al nuovo album, Fame, con un grado di consapevolezza molto alto, il che non ha però fatto abbassare le difese nei riguardi della pignoleria e dell’attenzione ai particolari.

Inno al fatalismo condito in salsa di rock piuttosto potente, La vita funziona da sé apre il disco con alta attività ritmica e vocale. Non volevo, che segue, non abbassa il ritmo e mostra un fianco perfino pop, pur con una costruzione ben strutturata che mette in evidenza i concetti (molti) espressi dal testo.

Più pensosa Cara madre, che mostra un lato meno aggressivo della band, ma non per questo abbassa la tensione interna dei testi, nonché la capacità di raccontare storie significative. Nel pezzo appare anche il violoncello di Mattia Boschi di Marta sui Tubi.

Jack lo stupratore riprende a correre e raggiunge ritmi veloci quanto la storia di impotenza e violenza che le parole raccontano. La gente muore mette in evidenza buoni lavori di chitarra e un drumming molto disciplinato.

Dopo un’apertura molto potente, Piano piano piano intesse un soliloquio molto veloce e intenso, accompagnato da improvvise esplosioni sonore.

Ricca provincia parla di realtà che ci stanno accanto con ritratti spietati che vanno a segno, e una sonorità indie scarna e ricca a un tempo.

Akai mette in evidenza nuovi conflitti (è questo che fa il rock, in fondo). Le chitarre sottolineano il testo che parla delle difficoltà, economiche e non, di nonni e nipoti, sorprendentemente analoghe.

Arrembante e volitiva Splendida idea, altra piccola storia di pregio, vestita con sound contemporaneo, semplice ma robusto. Molto compatto e solido anche il suono dell’omomatopeica Shhh, in cui le chitarre accennano a prendere il potere, almeno per qualche secondo.

Sorprendente il finale di Non sei libero, che utilizza il pianoforte e soprattutto che rallenta e attenua un po’ i modi (ma solo quelli, e solo un po’) mostrando un lato leggermente meno graffiante della band.

Si abusa spesso (io per primo) dell’aggettivo “potente” parlando di musica: ma per il nuovo disco dei Nadàr Solo, per una volta, il termine è del tutto azzeccato.

Il disco suona potente, con sfumature che vanno dal power pop all’indie rock. E parla in modo potente, sia quando cerca di entrare nelle vicende famigliari più intime, sia quando si rivolge a fenomeni più generali. Un disco valido, di spessore, che colpisce nel segno.

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