La recensione: “Il fauno”, Le Capre a Sonagli #TraKs
Le Capre a Sonagli pubblicano un nuovo disco. E fin qui, siamo andati bene. Quello che c’è dentro il disco però è tutto un altro discorso: Il fauno, da buona tradizione del quartetto bergamasco, è infatti un delirio di suoni e di generi mescolati senza ritegno alcuno, a formare un’architettura divertente e folle.
Il disco costituisce la colonna sonora di un film d’animazione che sarà presentato a puntate nel corso della promozione de Il fauno: non si capisce dove inizi il disco e dove finisca la colonna sonora, ma questo è l’ultimo dei problemi.
Si parte con Celtic, curioso mix intessuto sul folk, su riff ripetuti, su ironie e fanfaronate assortite. Sono le percussioni ad animare invece Ciabalé: anche qui brani della canzone non possono che strappare un sorriso, ma il tessuto ritmico è piuttosto serio.
Tre e 37 aggiusta il tiro sul blues, con un giro di chitarra torbido, almeno quanto il cantato. Demonietto all’organetto passa nella parte alta dell’ottava per fischiettarsela in tutta libertà.
Si precipita poi nel recitato che introduce Serpente nello stivale, declinata in un surreale post rock. Con Giù l’assunto si complica, perché le chitarre trascinano verso il basso, in un magma ribollente.
Quindi giustamente, una volta arrivati all’inferno, ecco il bluesettino giocoso di Nonno Tom, che lascia poi spazio alle sonorità vagamente orientali, ma in ogni caso poco seriose, di Uhaa!
Si fa sul serio, per una volta, nell’arpeggio acustico di Slow, accompagnato da voce filtrata (e incomprensibile, come in tutto il resto del disco).
Ecco poi una Pausa Pranzo passata a percuotere tamburi in modo folle e a urlare canti di guerra danzando intorno al fuoco (ognuno ha la pausa pranzo che si merita).
Blues elettrico l’ingrediente principale di Anatra, con divagazioni di vario tipo. Ed ecco il lentone anni 60 (forse anche 50), opportunamente intitolato Bobby Solo, con inserti di ukelele o simili e breve viaggio ai decenni ancora precedenti.
Più altisonante e vibrante Joe, che ha un passo molto solenne, approssimandosi alla fine della vicenda. Fine che è giustamente celebrata con una specie di sabba ai limiti della techno intitolato Goo Porpacuttana.
E’ un mondo mitologico, quello delle Capre a Sonagli, ma non quello dell’Olimpo, apollineo e lucente: piuttosto quello popolato da satiri sbavanti, eroi loschi, sottobosco di piccole divinità inette, che si sposa bene con un groviglio sonoro che spazia dal blues all’industrial, lasciando comunque sporco per terra.