CV_JUJü Meets Møster narra l’incontro fra il trio ungherese JÜ (ovvero la chitarra di Ádám Mészáros, il basso di Ernö Hock e il batterista Andras Halmos) con il suono del sassofono del norvegese Kjetil Møster.

Il disco, missato da Bill Laswell, cerca di mettere insieme mondi anche distanti tra loro: il jazz dell’epoca d’oro di Coltrane con istanze di jazz-rock molto più moderne, anche se anch’esse debitrici di maestri lontani (leggi Frank Zappa).

C’è l’estetica del cambiamento alla base di Dear Johann, che parte con il sax di Møster che sembra improvvisare quasi in solitudine, salvo poi trovarsi attorniato da tutte le sensazioni e le strutture che il trio gli costruisce accanto, per chiudere con una furibonda accelerazione.

Ha un procedimento meno rettilineo Bhajan, con i bassi che macinano instancabili a sorreggere le movenze ora della chitarra ora del sassofono.

Morze (for Agoston Bela) comincia con il tratteggiare un paesaggio piuttosto desolato, con suoni emergono solitari o dotati di scarsa compagnia, e le sei corde di Mészáros a erigere un primo discorso. La presenza statuaria del sax si erge nella seconda parte del brano, con una digressione lucida e importante.

Hassassin torna su discorsi meno lineari e su cambi di ritmo improvvisi e folli, con un discorso magmatico che si avvicina al noise. Insolitamente breve l’intermezzo KJU, tra il rumoristico e il free jazz.

Il disco chiude sulle note di One, che analogamente a Morze apre discorsi d’inquietudine su un panorama di desolazione crescente, questa volta con accenti industrial. Il finale incede con passo maestoso e potente.

L’album rappresenta una sfida complessa e benché entrambi i lati della combinazione provengano di fatto da ciò che possiamo definire “jazz” ci sono differenze e punti di vista a volte anche lontani.

Ma proprio dall’unione del diverso si può ottenere la purezza dell’ispirazione, a volte: il disco si  distingue per l’attudine a mescolare i generi in modo spericolato, senza per questo perdere mai il filo conduttore.