La recensione: “Luna Park”, Davide Solfrini #TraKs
Si chiama Luna Park il nuovo disco di Davide Solfrini, cantautore con solide radici piantate in Romagna e una testa che sogna l’America e altri orizzonti.
Cenere apre il disco con i modi di una ballata piuttosto “quadrata” ed equilibrata. Si entra in atmosfere new wave con la title track Luna Park, contrassegnata da percussioni elettroniche e storie di provincia.
Storie che, con abiti completamente diversi, si ripresentano in Bruno, che riacquista le modalità della ballata, non priva di spunti elettrici.
Autoesplicativa fin dal titolo, Mi piace il blues suona ironica e nostalgica a un tempo. Rock and roll ruvido ma senza eccedere in Ballata, che ha qualche inserimento non lontano dal folk.
Lavanderia è forse il primo brano del disco a suonare interamente “da cantautore”, almeno nel senso che si intendeva fino a qualche anno fa.
Mai più ogni cosa apre con un riff di chitarra ma c’è anche il pianoforte a fare da contrappunto alle frasi del brano. Rumorosa come si conviene, arriva poi Elvis, intrisa di sensazioni antiche e di altri racconti di provincia (c’è anche il riferimento al Re, ma soltanto come suggestione sull sfondo).
E se nel brano precedente la fonte d’ispirazione è The Pelvis, a essere citati in Hardcore sono Jessica Rizzo e Mazinga, con la musica che torna a fare qualche riferimento alla new wave, ma con chitarra. Il lavoro chiude con Ci vuole Tempo, morbida ma non senza energia, semiacustica con cori, di buon passo e di buone intenzioni.
C’è personalità (e anche qualche cliché) all’interno di testi e musica di Davide Solfrini, che per inciso suona in prima persona quasi tutti gli strumenti in funzione all’interno del suo Luna Park.
Sarebbe apprezzabile un pizzico di nostalgia in meno e un po’ di ironia in più, ma il disco nel complesso è più che godibile e presenta ottimi vertici disseminati tra le tracce.