Terzo capitolo di una trilogia, esce il 28 marzo “Mont CC 9.0 – Third Act” dei Füsch!, band mediaticamente notevole perché è quella di Maria Teresa Regazzoni, madre dei fratelli Luca e Alberto Ferrari, fondatori dei Verdena.

Ma a parte la curiosità e le parentele, i Füsch! sono una realtà importante e concreta. Il disco è di quelli ideali per chi è in astinenza da chitarra, in questi tempi ondivaghi. Qui ce n’è parecchia, spesso pesante, a volte distorta, comunque protagonista, con il gusto per il riff che spesso si suppone smarrito o comunque offuscato dal tempo e dall’uso.

L’atmosfera costruita dalla chitarra, dalla batteria e dagli altri amici non è però delle più rilassanti: i Füsch! si muovono su panorami sonori molto elettrificati e molto densi di aggressività. Si leggono paure e inquietudini, affrontate spesso con riff terrificanti cui fa da contrappunto la voce esile di Maria Teresa nei pezzi ( non frequentissimi) in cui canta.

L’apertura è affidata a “Iuston“, costruita su un riff insistente di chitarra elettrica, che funge da intro strumentale e allucinata al disco.  Anche “Il leader senza chiavi” parte da un riff ripetuto, il cantato è sommesso e si perde un po’ nel tappeto sonoro. L’effetto è piuttosto Sonic Youth, ma con tratti melodici molto più spiccati. Finale di tempesta elettrica.

Ne “Il Gran Sasso“a guidare è una batteria sonora ed evidente. Altro pezzo rumoroso e aggressivo, semplice nelle sue linee ma plastico. Le volute di chitarra portano su percorsi quasi da hard rock vecchio stile.

C’è poi “La stanza dei funghi“: ok, ma che tipo di funghi? Da un altro giro robusto di chitarra nascono visioni psichedeliche piuttosto distorte. Cantato sempre un po’ esile, come se la voce fosse uno strumento tra gli altri.

La “Quadrifonia Lemon” conferma la curiosa fantasia espressa nei titoli dei pezzi: altro pezzo strumentale complessivamente più morbido ma non meno ossessivo degli altri. Altre distorsioni, altri capitoli di inquietudine  in “Family Tree“: questo albero di famiglia è costruito con scarsa ammirazione per il blasone. Dal punto di vista musicale è forse il brano più “aperto” del disco, con una durata quasi punk e con qualcosa che assomiglia a un ritornello, e qualcos’altro che riporta alla stagione dei CSI.

Punto importante del disco è la cover de “La convenzione“, testo visionario e fantascientifico del ’72, firmato da Battiato e Camisasca, che si apre con tastiere che fanno diretto riferimento alle sonorità di provenienza della canzone, i Settanta. Il muro sonico e rumoroso è comunque ancora padrone e rende il pezzo omogeneo al resto del disco.

E se “Bitter Coffee” porta in dote un nuovo riff potente e un’altra struttura trasparente ed elettrica, “L’Ines Atto Finale” è invece completamente diverso dal resto. La chitarra acustica apre in solitaria, poi arrivano dolci suoni di tastiere ed effetti quasi New age.

Il sottotesto è però zeppeliniano, almeno nella fase bucolica. Fa piacere scoprire non soltanto la perizia strumentale, ma anche la sostanza che sorregge le loro trame anche quando si spogliano di tutta l’elettricità.

Non si ritrovano compromessi in questo disco né sarebbe piacevole incontrarne. Ma si trovano idee, colori e una spinta vitale considerevole: è più che sufficiente per farne un lavoro ottimo.

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