Così, su due piedi, non sembrerebbe che i Clustersun suonino insieme soltanto dai primi mesi del 2013. Fatto sta che il quartetto catanese (e prima o poi bisognerà studiare che cosa c’è nell’acqua dei rubinetti di Catania, o sull’Appennino reggiano, o in Salento, che ti fa crescere musicista) arriva al primo disco, Out of your ego, con una notevole dose di consapevolezza.

Il loro singolo di debutto Be Vegetal l’anno scorso era stato notato da Dave Allison, boss di Custom Made Music, e incluso nella compilation Summer Sampler: la raccolta, con brani di band shoegaze, wave e post-punk provenienti da tutto il mondo, è stata stampata in 1.000 copie e trasmessa nel circuito delle radio universitarie USA.

Un gran bel biglietto da visita, non c’è che dire, a cui fa seguito questo disco su otto tracce che confermano quanto di buono già si conosceva della band.

Hipgnosis apre le danze, ma sembra pescare più in là nel tempo rispetto a shoegaze e post punk: ci sono chiare eco degli anni Ottanta, di synth pop in stile New Order, Depeche Mode, perfino una chitarra con echi che suggerisce legami con i primi Simple Minds.

Con Meteors il ritmo rallenta un po’, anche le sonorità sono più rarefatte, di nuovo si sentono chitarre dardeggiare in lontananza (questa volta i suoni sono forse più vicini ai Cure), la voce rimane in buona evidenza.

La terza traccia del disco è proprio Be Vegetal: dietro una robusta traccia di basso emergono cambi di ritmo e anche qualche prodezza vocale, con le chitarre più in secondo piano rispetto ad altri pezzi del disco.

Planar I si districa tra suoni di tastiera e passaggi all’oscuro, prima di prendere il via sul serio, in un crescendo di tensione piuttosto notevole. Più contenuti e meno epici i messaggi di Nebula, con una chitarra ricca di echi e di effetti.

Floating conferma gli ingredienti precedenti e li condisce con un mood piuttosto cupo. Arriva poi Planar II a completare il discorso: una linea di basso piuttosto concreta e un duetto di voci ben congegnato costruiscono un pezzo di buon ritmo.

La chiusa, Clustersun, è un potentissimo sorgere di chitarra che può richiamare alla mente certo dream pop, certa psichedelia, certo shoegaze, comprese le distorsioni che piano piano prendono il sopravvento.

Non è semplicissimo proporre un genere come quello suonato dai Clustersun: è facilissimo cadere nell’emulazione, o peggio lasciarsi prendere la mano e confezionare un disco pomposo e inconcludente.

La navicella dei Clustersun invece sembra essere riuscita a evitare questo tipo di asteroidi, trovando una strada personale che, se paga qualche tributo qui e là, non si appiattisce sulla lezione dei maestri. Il risultato è un album ricco di ottime sensazioni.

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