La recensione: “Ruins: Sketches and Demos”, Vanessa Van Basten #TraKs
Fa un effetto strano quando qualcuno annuncia un disco dicendo che poi si prenderà una pausa a tempo indeterminato: a parte che in tempi di Jobs Act l’unica cosa che puoi prenderti a tempo indeterminato è appunto una pausa, c’è la sensazione di guardare in un burrone di cui non vedi l’altra sponda.
In questo caso si parla dei Vanessa Van Basten, creatura di Morgan Bellini, che prima della pausa decidono di svuotare i cassetti pubblicando una raccolta di materiale inedito, Ruins: Sketches and Demos, accoppiata a un ep di cover di brani tratti da Disintegration, lp molto importante nella storia dei Cure.
Si parte con Ruins, che accoglie il meglio tra versioni demo, live e abbozzi digitali, editato però in modo da ottenere un insieme coerente.
Godfather apre la raccolta con un passo lento e su un soundscape di noise diffuso e talvolta stordente. Umore piuttosto malinconico in All Cats Are Graves, titolo tra enigmatico e geniale, influenza della dark wave molto evidente.
Si passa senza interruzioni a China 2999, che amplifica le sensazioni dei brani precedenti ma con intenzioni più aggressive e mirate. La carica accumulata fin qui si sfoga soprattutto con drumming e ritmi di Odyssey Song, robusta e dotata di buona energia cinetica.
Dopo la rapida Lapsteel Intro, ecco Arbeit, parola che evoca cancelli tremendi, a irrobustire di nuovo il suono avvicinandosi ai concetti del doom.
Si passa in acustico, benché ricco di echi, con Sketch 07, che piano piano però riapre le porte alla strumentazione di più varia natura, ed evolve fino a tornare sui propri passi e sui primi accordi.
Eldorado scintilla da lontano, ma per arrivare fin lì bisogna attraversare mari oscuri e passaggi molto rumorosi. Wien/Cholinergic part II arriva da lontano e costituisce una reprise di temi già affrontati, che terminano però con una sorta di epico trionfo noise, chiuso da una citazione dalla serie tv di culto True Detective.
Altisonante ma anche ritmata in modo marcato L’uomo che comprava il tempo, particolarmente vibrante e intensa, in cui la citazione precedente trova la propria conclusione.
27 bricks of our future mette di nuovo in rilievo il drumming, mentre con Epic Victor si viaggia all’interno di atmosfere roboanti e in perenne movimento.
La chiusura è affidata ad Advent, cover dei Dead Can Dance, resa con costruzioni plastiche e uno spirito quasi pop che era difficile intuire dalle produzioni prcedenti.
Con la collaborazione di Francesco Valente (Il teatro degli orrori), Francesco Candura (Jennifer Gentle) e Lorenzo Fragiacomo (The Butterfly Collectors) Bellini realizza anche il Disintegration ep, con quattro cover da uno dei dischi migliori della carriera della band di Robert Smith.
La scelta cade non sui brani più celebri, tipo Lullaby o Lovesong, ma su quelli più in linea con il sound dei VVB, quindi sessioni per lo più strumentali in cui l’umore non è sempre scintillante. I titoli utilizzati sono trasfigurati (forse anche per questioni di diritti, ma forse no).
Così Plainbong rappresenta una versione rallentata e forse un po’ addolcita di Plainsong, senza rinunciare alle vaste atmosfere cupe e malinconiche della versione Cure.
Doseclown (l’originale è ovviamente Closedown) ripete l’ossessivo ritmo percussivo, su cui si stendono le escursioni liriche della chitarra, con un finale epico che prevede anche una breve citazione di Lullaby.
Fashination Trip si oppone all’originale Fascination Street per pochi particolari, rimanendo per lo più fedele. Qualche variazione sul tema in più si può invece apprezzare in Retitled (originale Untitled), che pur conservando il mood complessivo aggiunge chitarre sporche, qualche eco, un po’ di riverbero.
Il difetto principale delle raccolte di excerpta, di canzoni espunte, rimasticate, ricondizionate non è, come si pensa di solito, il fatto che siano “avanzi” di pasti già consumati (ci sono avanzi migliori di molte pietanze consumate in prime time).
E’ piuttosto il fatto che si tratta di isole, che accostate non significano nulla, non costituiscono un percorso. Un pericolo ben presente a Bellini, che infatti ha reso del tutto omogeneo e coerente il sound, ottenendo un risultato encomiabile e di grande spessore.