Quando l’esordio su lp arriva cinque anni dopo il primo, promettente, ep, può significare molte cose. Che si è perso il treno, che ci si è persi (senza che ci fossero treni), che è intervenuta la crisi discografica, eccetera.

Non è (ancora) chiaro ciò che è successo ai Limes (ma lo sarà quando li intervisteremo), che firmano un ep nel 2009, partecipano all’Heineken Jammin’ Festival, aprono per i Motel Connection.

E poi limbo fino a oggi, quando esce Slowflash, un lampo rallentato dal tempo e dagli eventi che però conserva spunti di interesse, sottoforma di undici tracce debitrici nei confronti del rock anglosassone.

Già dal brano di apertura arrivano conferme: dopo l’intro strumentale di Plume I, arriva Hunting Party che solleva subito il livello dell’aggressività, sorretta com’è da una buona traccia di basso.

Tunng si muove su binari simili, mentre Pressure Variation ha toni piuttosto acidi e sottolinea di nuovo il basso, anche se è la chitarra ad accendere seriamente le polveri.

The Fall accelera un po’, ma senza esagerare, rimanendo su toni per lo più malinconici e all’interno del recinto di un rock moderato.

Seguono le note di Path of Mind, potenziale singolo e comunque brano di ottimo impatto, cui fa seguito Wood, un pezzo a media velocità che alterna i ritmi, gioca con i crescendo, mette in evidenza la chitarra e le voci.

Con Noise’s Room ci si colloca su ritmi più moderati ma senza che una certa aggressività di fondo si perda. La canzone ha un intermezzo strumentale che spezza le strofe in modi che fanno pensare alla prima new wave.

White può ricadere sotto il cliché “ballata classica” con tanto di chitarra acustica e di toni accorati. Minore moderazione si affronta con The Ascent, mentre il discorso si chiude a cerchio con Plume II.

Molti dei pezzi del disco sono abbastanza affilati da catturare l’attenzione di chi ascolta, e nel complesso il disco costruisce un’onda sonora sufficiente a superare la diga dell’interesse.

Si può probabilmente chiedere a questi tre ragazzi triestini di cercare di osare un po’ di più, di superare qualche “confine” in più (se si chiamano “Limes”, un motivo ci sarà), ma il risultato ottenuto da questo esordio è già pregevole di per sé.

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