Altre di BE’ in uscita il 18 aprile prossimo “Sport“, il secondo disco di Altre di B, una di quelle band che ti fanno pensare che c’è speranza per un futuro migliore. Ora, non è che ascolti un disco di una band italiana, ti dici: “Ma questi non sembrano italiani” e automaticamente è un fatto positivo.

Ma il fatto è che questo quintetto bolognese ha avuto il coraggio e la forza di mettersi in marcia, di imparare dagli altri, di uscire dal guscio, di suonare in tutti i festival possibili, sempre senza perdere di vista la musica che volevano fare. Come dimostra, appunto, “Sport”, un disco a tema che “non sembra italiano”.

A mettersi in evidenza nei loro pezzi sono da subito e spesso i suoni elettronici. Ma è un inganno: sotto c’è un lavoro molto accurato di sudore, chitarre, sezione ritmica.
C’è ironia nelle canzoni, ci sono anche giochi e filastrocche quasi infantili, ma non è difficile grattare appena sotto la superficie e scoprire un motore lucido e rombante. Sono brani che si possono tranquillamente utilizzare come colonna sonora di una festa, ma senza per questo essere “leggeri” o inconsistenti.

Si apre con 1998, pezzo veloce e aperto, con effetti elettronici utilizzati a piene mani, che parte piano e poi cresce, come spesso succede nel disco. Sherpa gira su giochi luminescenti di tastiere, poi arrivano cori molto aperti ad accompagnare una chitarra insistente. Il testo racconta delle guide hymalaiane che scalano l’Everest, salvo poi vedere incensati gli occidentali che fanno la fatica minore e che si prendono tutto il merito.

Spesso il contrasto tra i suoni altissimi delle tastiere e le percussioni profonde è piuttosto spiazzante. Kasparov è il primo singolo, ha un’atmosfera molto positiva e solare, quasi sudamericana, a dispetto dello scacchista cui è dedicata.

Shimano è un pezzo medio, che può ricordare la genealogia che va dagli Strokes ai Kooks, in cui sono molto evidenti le evoluzioni della batteria. Roland Garros ha un’intro elaborata, con atmosfere e velocità diverse. Poi si prosegue solo voce e chitarra per la strofa.

Subbuteo è più tranquilla, almeno all’inizio, ma l’aggressività aumenta, come se l’omino del Subbuteo fosse impazzito e avesse iniziato a ruotare su se stesso improvvisamente. In realtà il finale di tastiere ruba una schermata più a “Space Invaders” che ai piccoli calciatori con la grande base tonda, ma ognuno la vede a modo suo. Del resto, non è che da un gioco in cui il portiere è eternamente in tuffo poteva risultare  una canzone normale.

Anche Slalom sembra parente di alcuni videogiochi antichi, anzi, del più antico di tutti, cioé “Pong”, ma anche qui la struttura rock sottostante si rivela ben presto. Il pezzo apre a un coretto “po-po-po-po” che sembra voler togliere qualche spazio di mercato nelle curve degli stadi a “Seven Nation Army” degli White Stripes. Il giro di basso è influenzato dai Green Day.

Eccoci a Zoff: uno pensa al non esageratamente dinamico ex portiere e allenatore, e si immagina un ballatone classico, magari una cover di Sandro Giacobbe. Invece qui si salta fin da subito e si corre parecchio. Il pezzo è intenso e veloce, le tastiere giocose sono del tutto assenti, e la band dimostra di funzionare benissimo anche quando ne fa a meno.

Chiude il disco Bonnaroo e anche in questo caso l’elettronica incide poco, come se piano piano, nel percorso del disco, si sia deciso di fare a meno di effetti troppo scintillanti, per lasciare spazio a batteria e chitarre. Come se la band fosse in piena evoluzione, anche all’interno di una singola canzone o di un disco.

Festeggiano, saltellano, si divertono, giocano ai videogames durante le canzoni, hanno ancora difetti (troppi coretti da stadio) e imperfezioni, ma a loro si può applicare uno dei più stucchevoli luoghi comuni del calcio italiano: se avessero un cognome straniero, chissà quanti dischi avrebbero già venduto. Ma loro se ne sbattono, anche perché hanno sicuramente un altro concerto a cui pensare.

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