Più che un disco, una dichiarazione d’indipendenza: Le Visioni di Cody hanno pubblicato Celestino (qui la recensione). Uscito a tre anni dal precedente Appennino Libero, autofinanziato e autoprodotto, la band sottolinea come l’album sia “libero da ogni vincolo”. A parte quelli con il rock, con la collaborazione di Michele Bertoni e Franco Naddei: abbiamo rivolto loro qualche domanda.
Vorrei sapere come nasce la storia di “Celestino”, inteso sia come personaggio sia come album.
“In un mondo che ci obbliga all’eccellenza fare schifo è un gesto rivoluzionario”. Con questa scritta sul muro, fonte anonima o sconosciuta, di certo non approfondita, si apre il manifesto esplicativo dell’immaginario descritto da questo nuovo album. Celestin senza paura è un ventenne che ascolta i Sonic Youth e va ai concerti, non va in palestra e non ama il pallone. Studia Storia contemporanea e si avventura sotto ai portici di Bologna, poco attento ai social network è un puro, un giusto fra le nazioni e un grande.
Nel disco si intrecciano varie influenze e la scelta delle sonorità è piuttosto versatile. Che tipo di sensazioni e umori avete attraversato durante le lavorazioni del disco?
Quando abbiamo iniziato a lavorare al disco il primo passo è stato quello di andare a vivere insieme, quindi di allestirci la sala prove in casa. Le sensazioni e gli umori che si sono intrecciati e hanno influenzato la lavorazione del disco, erano gli stessi che si respiravano nella comune che abbiamo creato.
Come nasce “Il mondo salvato dai regazzini”?
Male! Chitarra e voce, era un pezzo molto brutto, rischiava di finire in un cassetto. Poi abbiamo lavorato insieme verso un arrangiamento con più ritmo. In sede di registrazione abbiamo cercato di renderla più marcia, pù vicina alla versione registrata in sala prove con l’ i-phone 5S di Mancini. Il testo è ispirato alla raccolta di poesie (il mondo salvato dai ragazzini) di Elsa Morante. Come rappresentato nel videoclip di Pietro Bondi, si è voluto legare l’immagine della stanza psichedelica in cui l’opera fu concepita dall’autrice, a un microcosmo di storie che impazziscono (come le uova). Alla fine è tutto un grande gioco, compresi noi.
Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?
Gran tappeti di vecchie tastiere, Siel e Crumar. Basso punk e minimale. Chitarre con riverberi. Batteria.
Potete descrivere i vostri concerti? Quali saranno le prossime date che vi vedranno coinvolti?
All’inizio presentiamo il disco nuovo, poi facciamo una parte punk e alla fine mandiamo tutto a puttane e improvvisiamo. Come dicono i nostri amici “sembriamo una band di ubriaconi”. Le prossime date sono al Sidro a Savignano e alla Fiaschetteria di Santa Sofia, poi all’arrembaggio verso la conquista del ravennate.
Chi è o chi sono gli artisti indipendenti italiani che stimate di più in questo momento e perché?
Giacomo Toni che ci ha dato i soldi per registrare questo disco.
Potete indicare tre brani, italiani o stranieri, che vi hanno influenzato particolarmente?
Il tema di “Ritorno al futuro”, “Almost Blue” di Chet Baker, “Kinotto” degli Skiantos.