Lefter: intervista, recensione e streaming
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lefterI Lefter sono un duo musicale proveniente Udine. I due si conoscono grazie alla precedente esperienza con gli Hoosh che li ha visti suonare in giro per l’Italia. Dopo lo scioglimento degli Hoosh i due decidono di fondare un nuovo progetto con il nome appunto di Lefter e di pubblicare un disco omonimo da sei tracce. Li abbiamo intervistati.

Il vostro duo nasce sulle ceneri degli Hoosh: che cosa vi ha lasciato l’esperienza con la vostra band precedente?

Con gli Hoosh ci siamo ritrovati a suonare insieme per la prima volta e da quell’esperienza si è consolidato il nostro feeling musicale che poi si è evoluto nei Lefter.

Il disco è ricco di suggestioni che si possono collocare nello scatolone noto come “post rock”, ma ci vedo anche molti riferimenti alla psichedelia classica. Quali sono i vostri capisaldi musicali?

Abbiamo entrambi background diversi, Red deriva da scene con sonorità più dure e corpose che vanno dall’alternative-rock, allo stoner fino all’hip hop mentre Marco predilige più ascolti indie, garage, psichedelici.

Come nasce “No Prisoners”?

Come con gli altri pezzi dell’ep anche “No prisoners” si è sviluppata in maniera piuttosto istintiva, di solito non ci soffermiamo troppo a lungo su un pezzo ma cerchiamo di lasciare che il pezzo venga un po’ da sè, in questo caso è partito tutto dalla ritmica quasi drum’n’bass sulla quale abbiamo cercato di imprimere il nostro sound.

Potete raccontare la strumentazione principale che avete utilizzato per suonare in questo disco?

La strumentazione è la stessa che utilizziamo dal vivo, Red si occupa della batteria e della drum-machine e Marco si occupa della voce con riverberi e distorsioni, chitarre effettate e sintetizzatore.

Immagino che la parte live sia tra quelle fondamentali per voi. Potete descrivere i vostri concerti?

Attualmente il nostro set è abbastanza breve sono circa 35 minuti dentro i quali non esistono pause, cerchiamo di mantenere sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore.

Lefter traccia per traccia

lefterL’ep da sei canzoni si apre con un’introduttiva e molto percussiva Dalawang, voluminosa massa di suono che dardeggia in svariate direzioni. Si può pensare al post rock, al math, all’hardcore, al metal, ma si intuisce comunque che i Lefter siano dotati di pensiero originale.

Pimlico corre via veloce, con atmosfere stavolta più solari, anche se corroborate da robustissime dosi di elettricità, e con una coda molto più moderata e contenuta. Non c’è moderazione nella minacciosa No Prisoners, climax impazzito votato al noise, ma che si ferma a un più costruttivo approdo di rock ruvido. L’uso delle voci da parte della band è piuttosto peculiare: quasi sempre a coro, quasi sempre indistinguibili, quasi sempre urlate sullo sfondo.

C’è continuità con il pezzo seguente, Fa# (ormai rara occasione in cui il # è utilizzato con il significato originale di diesis), che si rivela fluida e magmatica, con la voce che assomiglia stavolta a un cantato classico, seppur distorto.

Si procede poi con Sucker, che non cambia di molto ritmo e atmosfere rispetto agli episodi precedenti. La chiusura, psichedelica e circolare, è affidata a Torchman.

Buon esperimento, quello dei Lefter, che si preoccupano poco degli steccati tra i generi e delle etichette, riuscendo a produrre una sostanza sonora molto viva.

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