Leo Pari, “Amundsen”: la recensione
Leo Pari pubblica oggi 10 marzo 2023 un nuovo album di inediti, il nono della sua discografia: Amundsen. Disponibile su tutti gli store digitali e in formato cd e vinile, anticipato dal singolo Roma Est, Amundsen arriva dopo gli ottimi riscontri dell’ultimo lavoro Stelle Forever, che ha confermato la sua firma tra i riferimenti fondamentali del panorama indie o itpop o quello che è il pop italiano oggi.
L’album inaugura un nuovo capitolo che si aggiunge alla lunga discografia dell’autore, produttore e musicista che, oltre alle pubblicazioni soliste, conta collaborazioni che lo hanno fatto conoscere al grande pubblico come il lungo sodalizio con Thegiornalisti e il lavoro come autore e produttore per artisti come Simone Cristicchi (suoi i testi di Vorrei cantare come Biagio e La prima volta che sono morto), Francesco Renga, Elodie, Gazzelle, Malika Ayane, Tiromancino, Galeffi, Niccolò Fabi, che hanno richiesto a vario titolo la sua sensibilità e la sua penna, capace di evocare immagini di grande fascino.
Leo Pari traccia per traccia
Il disco parte con calma: lunga introduzione strumentale per Amundsen, l’esplorativa title track, che poi prende forma e voce un po’ per volta senza abbandonare il giro iniziale, anzi facendo molti altri giri, sempre più avvolgenti, a inseguire il fantasma dell’esploratore norvegese (pronunciato Amundsén).
Si continua in malinconia con Roma Est, al centro anche di un video di animazione particolarmente toccante. Leo fa i conti con lo specchio e il tempo che passa, anche se le modalità indie sono ancora tutte lì, con il pianoforte che scandisce dolori e sentimenti.
Riferimenti a una realtà esterna impazzita emergono da Dormi, che fa una sorta di rassegna stampa “all black”, a dispetto dei futuri fiori di Damasco. Il positivo va ricercato all’interno della propria piccola realtà, perché fuori ci sono i lupi.
Parla di tentativi di suicidio, ma in modo abbastanza giocoso, Giorni no, che affronta le negatività in modo melodico e con qualche rimpianto che si scontra con quello che si è imparato nel corso della vita.
I rapporti con il padre sono al centro di Un Anno Freddo, ricca di tristezza e di rimpianti semplici da capire ma difficili da vivere. Si cambia un po’ atmosfera con Ultima scena, che dipinge una Roma con la pioggia e “un altro stupido addio”, con qualcosa di battistiano qui e là.
Il freddo, che contraddistingue tutto il disco come tematica, si avverte anche in Freezer: “è da un po’ che non brilliamo più/è da un po’ che non brindiamo più”. Un amore unidirezionale trova la sua (naturale?) conclusione, tra le stranezze del destino e il problema di ricascarci sempre.
Il titolo fa pensare a Max Pezzali, il fischio iniziale a Sergio Leone, ma Poi sei arrivata tu è una classica canzone di Leo Pari, tra rimpianto e riscatto, nella speranza che questa volta sia quella buona.
Un pianoforte quasi solenne introduce a Il Suono della Città, che butta le catene nell’Aniene e guarda quel film che si chiama amore. Si chiude con Fenici (nel senso del plurale di Fenice, quella che rinasce dalle ceneri, non dei fondatori di Cartagine, insomma ci siamo capiti), sostanzialmente un’invocazione, il desiderio di rimanere ancora vivi e avere altri tentativi da fallire.
Non ha mai avuto paura di risultare troppo dolce, Leo Pari, ed è un timore che non lo sfiora nemmeno stavolta. Forse è l’ultimo dei Mohicani indie, forse è uno che ha capito che c’è bisogno di continuità, fatto sta che i Canova si sono sciolti, I Cani sono spariti, di Calcutta non c’è traccia. Giusto Gazzelle vive e lotta con noi.
Però il pop è il pop, indie, it o altro, e Leo questo l’ha capito benissimo. Perciò continua a tenere alta la bandiera di questo genere musicale, senza uscire mai idealmente dalle mura di Roma, ma esplorando i ghiacci polari che abbiamo nel cuore. Sfacciatamente e senza vergogna.