Lidi Sud è l’album d’esordio dei romagnoli Les Apaches, progetto di musica libera e indipendente ideato da Matteo Santini e Mattia Depaola, meglio conosciuti come Il Santo e Il Pinna. Quello dei Les Apaches è un sound nato da lunghe jam durante il periodo pandemico: neo psychedelic rock, psych-folk, experimental rock, accenni afro-francesi, mellotron echeggianti e bordoni drone degni del migliore La Monte Young.

Un progetto dedito alla apache music minimalista, registrato e cristallizzato presso lo Studio al Mare dal produttore Francesco Giampaoli e impregnato delle atmosfere che si respirano nei Lidi Sud di Ravenna (da qui l’ispirazione per il titolo del disco “Lidi Sud”). 

Anticipato dai singoli Un Jour Sans Fin e Jane, l’esordio discografico della band di Cesena esce per la label di culto Brutture Moderne, in vinile, streaming e digital download. 

Les Apaches traccia per traccia

Avvio particolarmente ipnotico quello di Orpheus, che si sviluppa in ampiezza con suoni psichedelici e atmosfere evocative.

The Importance of Being I.S. si muove anche più in profondità, con una grande estensione di riverberi, ma anche con qualche piccola esplosione controllata qui e là.

Qualche indizio di Tom Waits si cela nelle oscurità di Warm Cola #2, insieme a tutto il mondo Giant Sand, Calexico e compagnia cantante. Questo pezzo è particolarmente gutturale, soprattutto grazie all’attività del basso.

Dopo l’intermezzo rumoroso di Untitled, si prosegue con un’altrettanto incasinata Except By An Evil Chance, che su una base psych blues costruisce mosse scomposte e rumorose.

Pochi accordi netti e circostanziati, ma anche inquietanti, costruiscono l’aria attorno a Bateu Ivre, spezzata in due e improvvisamente melodica nella seconda parte.

Drammatico l’incedere di San Berillo, che cresce ritmicamente un po’ alla volta, fino a scivolare via. Più consistente la marcia di Trapdoor, sempre con voce filtrata e percorsi obliqui.

Una chitarra dolce e malinconica mette lì un giro semplice in Jane, che probabilmente non è “Sweet”, ma anzi lascia un po’ di amaro in bocca, in un brano francofono con qualche riferimento a Manu Chao e a Gainsbourg.

Si torna nell’oscurità e nei ritmi subacquei con Un Jour Sans Fin, contrassegnata da percussioni che alla fine inghiottiscono tutto. Karman Ghia apre in modo sghembo e un po’ disarticolato, giocando con le dissonanze e immergendosi nella psichedelia.

Altro rapido intermezzo quello di LTD, ricca di echi, prima di passare a Il Libanese/Karawane, che al contrario è il pezzo più lungo dell’album, anche perché lascia spazio a evoluzioni sonore un po’ più articolate, benché costruite a partire da un giro semplice, ripetuto a loop con effetti di nuovo ipnotici. La coda del brano sperimenta e gioca un po’ con rumori e suoni.

A proposito di giochi, si chiude con Free Drum, che oltre a “liberare” la batteria, articola anche qualche vocalizzo e si congeda in modo sciolto.

Elementi semplici, scelti e coniugati nella maniera giusta, e con un pizzico di creatività che tiene insieme il tutto: Les Apaches hanno gusto anche quando lanciano in aria le carte e scombinano i giochi. Ecco perché il loro è un disco riuscito molto bene, fluido, che si ascolta con estremo piacere.

Genere musicale: psych rock

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Pagina Instagram Les Apaches

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