L’intervista: Chat Noir, le parole non servono
Tre città diverse, un solo lavoro: il trio Chat Noir esce con Elec3cities (qui la nostra recensione), elaborato mentre i tre membri del gruppo risiedevano in tre città differenti.
Ma sia la familiarità tre i tre, siano le meraviglie dell’elettronica, il risultato è molto omogeneo e di grande eleganza. Abbiamo rivolto qualche domanda ai musicisti.
Avete realizzato il disco mentre abitavate in tre città diverse: che difficoltà avete dovuto superare e come ha inciso questa situazione sul lavoro?
Le difficoltà sono state solo sulla logistica. I tempi sono stati più dilatati nella costruzione e nella realizzazione dei brani. Non facendo prove il nostro studio virtuale era una piattaforma cloud dove le idee convogliavano. Per molti aspetti invece siamo riusciti a fare di necessità virtù.
Ognuno di noi ha avuto la possibilità di relazionarsi con le composizioni in modo molto personale e spontaneo, riuscendo così a sperimentare in prima persona nell’intimità ognuno del proprio studio cercando di immaginare e di interpretare i pensieri degli altri.
Ci conosciamo e suoniamo insieme da più di 10 anni e spesso tra di noi le parole non servono. Non sapendo cosa aspettarsi è stata una sorpresa continua, a volte il brano prendeva inaspettatamente una strada del tutto nuova, altre invece magicamente c’è stata una totale sintonia di intenti.
Avete una gestione molto equilibrata e fluida del rapporto tra analogico e digitale. Posto che non vi vedo con il bilancino a dire “qui ci va un 30% di elettronica”… come nascono i vostri pezzi? Vi capita di partire da un sample oppure è sempre la struttura “analogica” a dettare lo sviluppo del pezzo?
L’avvicinamento all’elettronica è stato molto spontaneo e graduale, ciò ci ha permesso un utilizzo non invadente, anche perché spesso per elettronica noi ci riferiamo alla possibilità di filtrare e processare relativamente piano, basso e batteria (e fiati in alcune occasioni).
Il punto di partenza di un brano è spesso un’idea melodica o ritmica, ma può essere anche solo un suono o un’idea di suono. Da lì poi si cerca di sviluppare un concetto.
Ci sono alcuni brani del disco (penso a “Radio Show” e a “Our Hearts Have Been Bombed”) in cui l’impostazione almeno della sezione ritmica assomiglia alla forma canzone tradizionalmente intesa. Non vi è venuta la tentazione di imbarcare, almeno per qualche episodio, un cantante che condivida le vostre idee per vedere che cosa ne può venire fuori?
Questo è vero. Le strutture, l’attenzione per la melodia e un’impronta ritmica particolare si avvicinano molto anche a linguaggi lontani dal jazz classico, o comunque di stampo più moderno, al rock e a molte delle sue sfaccettature. Ascoltiamo di tutto. E la molteplicita’ di generi che ascoltiamo finisce inevitabilmente nella nostra musica e nella scelta dei mezzi espressivi che utilizziamo.
L’utilizzo della voce e’ certamente parte del nostro repertorio. Lo e’ stato in passato e continua ad esserlo in Elec3cities. Per Avant Buddha abbiamo utilizzato dei campioni di voce, in Chelsea Highline c’e’ un intervento di Alma Leiberg, e abbiamo realizzato Aspekt con la partecipazione di Jelena Fassbender.
Abbiamo affidato alle voci delle parti recitate oppure delle linee melodiche, facendone un utilizzo piu’ vicino a uno strumento musicale piuttosto che un “cantato” vero e proprio. L’idea di un cantante in senso classico non ci ha mai sfiorato, a dire il vero. Mai dire mai comunque.
Mi incuriosisce molto la scelta del pezzo di apertura, “Avant Buddha”: vorrei sapere che significato ha, come nasce e come mai avete deciso di aprire il disco con le sue sonorità, che sembrano piuttosto distaccate da quelle del resto del disco.
Avant Bhudda fa parte di uno di quei brani che ha preso una strada diversa rispetto all’idea di partenza. Era stato concepito “al contrario”, con la sezione finale, piu’ melodica, in apertura, e la parte ritmica e ipnotica come coda. In corso d’opera abbiamo optato per estendere quella che allora era un breve outro per farlo diventare il lungo crescendo che costituisce la parte principale del brano.
La natura estremamente dinamica, con questo crescendo lungo e lento, ci è sembrata perfetta per introdurre l’ascoltatore all’intero album. Le sonorità contenute in Avant Buddha sono molto complesse e varie. E’ un brano che non ha confini di genere né di “spazio”. Attraversa vari campi sonori e varie atmosfere. E in questo descrive perfettamente la nostra idea di musica.