L’intervista: Deian & Lorsoglabro, specialità della casa

Di mele e di epic metal, e di parecchio altro: abbiamo fatto due chiacchiere (forse tre) con Deian & Lorsoglabro, parlando della musica analogica e delle virtù del digitale, della saggezza dei proverbi, di amici canadesi, di kraut rock, di panettieri medievali e soprattutto di “Prezzo speciale“, il notevolissimo secondo disco appena pubblicato (qui la recensione).

E’ passato molto tempo dal vostro esordio su cd. Banalmente: che cosa è successo da allora?

Tante cose. A livello di formazione ci siamo stabilizzati sul trio, con Gabriele Maggiorotto alla batteria e l’ingresso di Alberto Moretti al basso al posto di Stefano Danusso; il che non esclude le occasionali partecipazioni dei collaboratori storici Alessandro Arianti e Tristan Martinelli, ma Lorsoglabro non è più quel porto di mare in cui a ogni concerto ci si presentava con una formazione differente. Stiamo invecchiando e abbiamo bisogno delle nostre piccole certezze, io per esempio la mattina mangio sempre una mela.

A livello musicale invece siamo più compatti e scarni nel suono ma anche più inclini alla digressione strumentale semi-improvvisata. Tendenza, questa, che ci ha condotti a dare un nome all’entità parallela che stava formandosi, Lorsotronico, e che nel disco è rappresentata emblematicamente da Hallopollo, un omaggio al kraut rock in chiave orsoglabrica. Nei live le due anime del gruppo convivono e si alternano, dando luogo a concerti ibridi a seconda della situazione che ci troviamo ad affrontare.

Com’è stata l’atmosfera che ha circondato “Prezzo speciale”? Mi sembra che le varie tracce del disco risentano di umori molto differenti.

Non posso dire che ci sia stata “un’atmosfera” specifica intorno alla creazione di Prezzo Speciale. Ha avuto una gestazione molto lunga e quindi coesistono dimensioni molto lontane tra loro. Alcuni pezzi – come Il Fiume o Preghiera – li avevo scritti già da molto tempo, mentre lo strumentale Cani Jah è addirittura un esperimento che avevo fatto col mio registratore a cassetta quasi dieci anni fa; però quando l’ho riascoltata ho pensato che doveva stare nel disco, e che era giusta così com’era.

Il criterio utilizzato per selezionare i brani che sarebbero entrati nel disco è stato influenzato dalla ricerca di una qualche forma di coerenza che potesse legare tra loro gli eterogenei materiali accumulati; ciò ha portato alla scelta di inserire solo dieci tracce, in cui ci fosse poco o niente oltre ciò che sentivo necessario. L’unico momento che potrebbe apparire inutile è il finale di Hallopollo, un paio di minuti di rumorismo quasi completamente casuale senza alcuna censura: abbiamo avvertito come necessario inserire anche quello.

La scelta di aprire con un pezzo molto riflessivo come “Il fiume” può risultare un po’ fuorviante rispetto al resto del disco. Da cosa nasce la decisione di sceglierla per l’apertura?

La tracklist è pensata per il formato a due lati del vinile, e sono molto contento del percorso quasi circolare che si compie scorrendo le canzoni nell’ordine in cui sono state messe, con un inizio (Il Fiume) e una conclusione (Preghiera. Cani Jah, l’ultima traccia effettiva, va considerata come un epilogo, un’appendice finale) simili, e in mezzo una serie di episodi di vario genere, con il viaggio ritmico di Hallopollo a fare da collante centrale: ha ragione il nostro amico Neil Young – che salutiamo – quando dice che una canzone è solo uno dei capitoli dell’intero libro/album.

La decisione di scegliere Il Fiume come apertura deriva da questo tipo di considerazioni, che sono state più forti della consapevolezza che per un disco generalmente è più funzionale cominciare con una canzone ritmata e possibilmente allegra. Questa scelta può poi essere anche un modo per il disco di selezionare chi ha realmente voglia di ascoltarlo.

Si coglie una certa insistenza nel discorso dell’uso di strumentazione analogica (il disco esce anche su vinile, si parla apertamente di “pezzi strumentali che chiudono i due lati dell’album”). Dato per scontato che non vi importa nulla del fatto di sembrare “vecchi” nell’era di Spotify e YouTube, mi spiegate perché è così importante questa scelta per voi?

In realtà non è una scelta che escluda le possibilità della modernità, ossia la distribuzione digitale. Sicuramente non è un mondo che mi affascini, personalmente parlando. Per indole sono sempre stato ritroso alle novità tecnologiche. Forse è un difetto, però osservo che la tendenza – soprattutto dacchè internet ha raggiunto una larga diffusione – è quella di mettersi nelle condizioni di poter accedere a qualsiasi cosa, per poi non accedere effettivamente a nulla e rimanere bloccati nella potenzialità.

Cosa me ne faccio di tutto lo scibile umano se non vi accedo con attenzione, o di tutta la musica del mondo se poi non la ascolto? Meglio qualche buon vinile. Il vecchio adagio “chi troppo vuole nulla stringe” è sempre in voga, a cui aggiungo anche “poco ma buono”, “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, “chi fa da sé fa per tre” e “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”.

A ogni buon conto va detto che a prescindere dalle mie personali inclinazioni, il disco è reperibile nonchè acquistabile in tutti i vari formati digitali, grazie al lavoro di Francesco Strino de I Dischi del Minollo e di Edisonbox, una netlabel parecchio attiva sul fronte della diffusione web della musica – il che indubbiamente abbatte i costi – e del coordinamento tra i musicisti.

Comunque in fondo hai scritto giusto: la scelta in questione è importante per noi. Questo lavoro è importante principalmente per noi, non c’è nessuno là fuori che gli possa dare l’importanza che riveste per noi, questo è ovvio. Quindi perchè non proporlo nei formati ai quali noi siamo più legati affettivamente? Se cd dev’essere, quantomeno digipack sia.

In quanto al vinile, personalmente sono contento come un bambino di poter mettere sul piatto il nostro disco! Mi ha dato un’emozione molto forte. E’ un lavoro in cui ho messo tanto me stesso, sia per lo spirito che c’è dentro, sia per la passione, sia pure per lo stress e per i tanti soldi investiti. I soldi vanno e vengono. Adesso stanno andando, per esempio.

 Dopo Lorsoglabro e Lorsotronico assisteremo a ulteriori evoluzioni della specie? Che programmi avete per la dimensione live?

Posso anticipare che, una volta che sarà esaurita l’onda di Prezzo Speciale, è possibile che proveremo a registrare qualcosa de Lorsotronico, la già citata costola de Lorsoglabro. Mentre all’orizzonte si profila Glabrador, ancora solo un’idea abbozzata. Per fortuna, perché si tratta della nostra trasmutazione in una band epic metal.

C’è quest’idea nell’aria, di allestire un concept album, un’opera che parla di un classico panettiere medievale, Wilhelm, che perde la Fede e riscopre nel paganesimo precristiano quella compenetrazione con il divino che la religione ufficiale non riesce più a offire all’uomo comune. Egli si allontana quindi dalla civiltà e, brano dopo brano, si trasforma in un animale selvaggio, fino a rivolgere la sua nuova bestialità contro se stesso.

La tragedia si conclude con l’inevitabile morte del protagonista che, però – in preda al furore e alla confusione – porta con sé all’inferno l’intera comunità da cui si era allontanato, dando alle fiamme il suo villaggio d’origine. Una fresca e coloratissima allegoria (in chiave epic metal) della situazione sociale che stiamo vivendo proprio oggi in Italia, se fosse necessario sottolinearlo.

Be’ no, non era necessario, era tutto talmente chiaro fin dall’inizio.