Nuovo lavoro firmato da Domenico Caliri, ma non da solo: l’ensemble di tredici elementi intitolato Camera lirica e imperniato sul chitarrista messinese torna infatti a “colpire”, con un album omonimo che mescola suggestioni sinfoniche, jazzistiche e di altra e varia provenienza. Abbiamo intervistato Caliri.

Sono stati necessari cinque anni per realizzare “Camera Lirica”, o quantomeno ne sono passati cinque da “Il buio acceso”. Nella lavorazione del disco che cosa è risultato più impegnativo: la scrittura, l’esecuzione oppure mettere insieme tutti gli elementi?

L’ordine è giusto. La scrittura ha  rappresentato la parte più impegnativa del progetto.  Riguardo l’esecuzione posso dire di trovarmi in compagnia di musicisti straordinari.

Tutto è stato registrato in due giorni e mezzo, il che suona come un  record, vista la pantagruelica quantità di materiale scritto.
La scelta dei musicisti è stata la cosa più semplice, perché
frutto di frequentazioni artistiche pregresse quanto proficue.

I cinque anni di cui parli sono soltanto un intervallo di tempo tra due lavori a mio nome e non il tempo di realizzazione del progetto discografico, che ha richiesto solo qualche mese.

Il disco ha richiesto l’impegno di ben tredici musicisti. Avete suonato insieme come un’orchestra oppure suddivisi in “band” secondo criteri più vicini al jazz?

Abbiamo suonato “live in studio” divisi in stanze contigue e visibili dall’esterno. Io dirigevo un po’ nel mezzo, sbracciandomi per raggiungere tutti.  In un brano soltanto ho pensato ad alcune sovraincisioni, ma solo per “colorare” e non per aggiungere parti scritte.

Ho diviso il  gruppo in ambienti differenti per avere più margine di intervento nella post-produzione. Sono molto soddisfatto dell’accuratezza del suono finale.
Da dove nasce l’ispirazione di “Baccanale”?

Ho immaginato la storia di una coppia invitata in  un misterioso luogo nel quale si svolge un baccanale, con tanto di libagioni, incontri e quant’altro.

Più che altro ho cercato di rappresentare una materia sonora che inizia in modo convenzionale, gradualmente si deforma e in conclusione torna alla forma originale, ma con una nuova veste arricchita grazie al percorso compiuto. La musica in questo caso è una metafora della storia immaginata.

“Oswiecim” è dedicata a Primo Levi. Ci puoi spiegare perché e come nasce il brano?

Anni fa sono stato a Cracovia. Nell’unico day-off  ho pensato di visitare il museo della non distante cittadina Oswiecim, che i tedeschi cambiarono in quel triste Auschwitz che tutti ricordiamo.

La visita di quei posti mi ha turbato profondamente, quindi ho deciso di sviluppare un tema composto poco prima plasmandolo sul ricordo di questa esperienza e dedicandolo a Levi che ne è stato il diretto e più attento testimone.
Immagino che riprodurre dal vivo tutto o parte del disco sarà complicato. Quando e come riuscirete a mettere insieme tutti i musicisti per esecuzioni dal vivo del disco?

Presenteremo il disco il 4 aprile  al Torrione, Jazz club di Ferrara diretto da Francesco Bettini e il 20 maggio al teatro Candiani di Mestre, grazie all’iniziativa promossa dall’etichetta Caligola, diretta da Claudio Donà.

Riguardo al “come”: certo è complicato, ma non impossibile, altrimenti nessuna compagine orchestrale potrebbe mai salire sul palco. Nella vita si fanno delle scelte; la mia è quella di affrontare repertori avventurosi ed organici spesso “ingombranti”, stando attento a non cadere nelle banalità e nei clichè.

La mia vera sfida – quella “complicata” – è quella di appassionare gli spettatori rendendoli attenti e partecipi, e, se possibile, divertendoli con intelligenza e gusto. Se, dopo un mio concerto, il pubblico torna a casa con una nuova esperienza e qualche dubbio in più, io ho raggiunto il mio obiettivo.