Hanno esordito con “Sloppy Sounds”  nel 2013, ma evidentemente non amano stare con le mani in mano: nel febbraio scorso è uscito “Ashes“, il nuovo ep dei Gambardellas (qui il video). La band è nata nel 2012 su iniziativa di Mauro Gambardella, batterista attivo nella scena indie/rock italiana da ormai diversi anni (Thee Jones Bones, George Merk, the R’s e Paletti).

“Ashes” è stato prodotto da Giovanni Spinotti (ex assistente di Bob Clearmountain) e dai Gambardellas, registrato e missato presso l’Indiehub Studio di Milano da Giovanni Spinotti e masterizzato da Lee Fletcher presso lo Studio Fletchertronics (UK).

Grazie all’ingresso ufficiale tra le fila di Glenda Frassi (chitarra-cori) e Grethel Frassi (tastiere-cori), con il basso affidato ad Andrea Gobbi, i Gambardellas sono una band a pieno titolo. Abbiamo scambiato due chiacchiere con Mauro Gambardella.

Avete un album alle spalle, ma questo ep mi sembra voler segnare un momento di svolta. Come nasce?

Dopo l’uscita di “Sloppy Sounds”, il primo album a nome Gambardellas, mi sono trovato a dover mettere insieme una band live che potesse proporre live i pezzi che avevo composto e prodotto. Allora il progetto era una sorta di one-man-band.

Dopo aver reclutato Glenda Frassi, Grethel Frassi e Andrea Gobbi, siamo partiti per un lungo tour di 42 date in tutta Italia. Nel corso di questo lungo periodo io, Glenda e Grethel ci siamo trovati ad avere una forte affinità musicale per cui è stato molto naturale per me coinvolgerle nel processo creativo e nei nuovi brani.

“Ashes” rappresenta per noi una svolta perché da mio progetto personale, in seguito all’ingresso ufficiale di Glenda e Grethel, i Gambardellas sono diventati una band a tutti gli effetti.

Lo scorso agosto 2013 ci siamo chiusi per tutto il mese nella nostra sala prove a comporre, riarrangiare e provinare nuovi brani: abbiamo chiuso il nostro mese di lavoro con circa 20 brani nuovi: da questa session è nato Ashes.

Perché avete scelto di pubblicare subito un ep e non un lp fra qualche tempo?

Come ti dicevo, avevamo diversi brani pronti ciò nonostante non abbiamo voluto affrettare i tempi. Registrare un album richiede tempo e molte attenzioni, deve avere un senso e un significato di fondo.

Nel mondo di oggi una band emergente ha sempre la necessità di offrire al proprio pubblico nuovo materiale, la musica si consuma sempre più rapidamente e se si vuole essere competitivi bisogna offrire materiale in quantità ma anche di qualità.

Non volevamo affrettare i tempi e rischiare di far uscire un album non del tutto a fuoco, volevamo invece offrire un’uscita che fotografasse un momento di passaggio nel processo creativo di questa band.

Mi sembra che i testi delle tre canzoni che avete firmato siano molto “forti” (anzi, diciamoci le cose come stanno: incazzati). Che cosa vi ha spinto nella scrittura di questi testi?

I miei testi trattano sempre di argomenti che mi stanno a cuore e spesso mi capita di sfogare la mia rabbia contro situazioni che vedo accadere intorno a me e che proprio non riesco a sopportare, vivendo poi il mondo musicale italiano di argomenti se ne trovano a bizzeffe.

I testi più incazzati a cui ti riferisci sono in particolare quelli di “One in a million” e “Devils”. Entrambe prendono spunto da personaggi e situazioni vere: pur mantenendo un sarcasmo di fondo in entrambe le canzoni volevo far sapere ai diretti interessati quanto mi fanno schifo le persone che sguazzano nella mediocrità e nella falsità.

Non c’è musicista peggiore di quello che sa di prendere in giro il proprio pubblico proponendo un prodotto che lui stesso considera di scarsa qualità: fa del male al suo pubblico e a tutto un sistema composto anche da gente per bene che cerca di fare qualcosa di buono una volta ogni tanto.

 Ho trovato molto azzeccata la cover di “I got mine” dei Black Keys e so che la fate anche in concerto. Vorrei sapere se ci sono altre cover che fate dal vivo o comunque di quali canzoni vi piacerebbe fare una cover.

Oltre al pezzo dei Black Keys di solito chiudiamo la scaletta live con un pezzo degli anni ’60 di Eddie Holland che si intitola “Leaving here”. E’ un brano che nel corso della storia è stato coverizzato da tantissime band: The Who, Motorhead e Pearl Jam per citarne alcune.

E’ una canzone dal carattere punk e ha il giusto ritmo per chiudere i concerti alla grande.
Per ora non abbiamo altre cover in scaletta, quest’anno abbiamo sufficienti pezzi per avere un concerto composto solo da pezzi nostri e preferiamo sia così.

Possiamo prendere questo ep come un’anticipazione di un prossimo lp e se sì, avete idea di quando uscirà?

“Ashes” fotografa questo particolare momento di passaggio della band, non so se quest’ep rappresenti un’”anticipazione” del prossimo disco, stiamo sperimentando molto con i suoni e ci stiamo muovendo in diverse direzioni, la prossima uscita potrebbe avere sonorità ancora più diverse.

Al momento comunque siamo molto concentrati sulla promozione e sul tour di “Ashes” per cui non abbiamo ancora programmato una nuova session in studio, avverrà sempre con le giuste tempistiche.

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