carnesiHa scelto il 1° aprile per pubblicare “Ho una galassia nell’armadio“, il proprio secondo disco: Nicolò Carnesi è un talentuoso polistrumentista, ma è soprattutto un cantautore intelligente.

Gli abbiamo fatto qualche domanda a proposito del suo nuovo, molto riuscito,  disco, che fa anche da preludio a una consistente tournée in partenza da Milano (Circolo Magnolia) il 3 aprile.

Mi racconti come hai approcciato questo disco e che cosa ti ha insegnato il tuo esordio?

L’approccio è stato il più naturale possibile, scrivevo canzoni e contemporaneamente, per puro interesse personale, leggevo libri di fisica e cosmologia, riflettevo molto sulle mie esperienze personali e su tutto quello che mi era accaduto negli ultimi anni. Da lì è via via affiorata e si è fatta strada, l’idea di raccontare e mettere in rapporto qualcosa di immenso come una galassia con qualcosa di piccolo e intimo come un armadio.

Tutto il disco si costruisce su una sorta di dualismo tra l’universale e il personale, mentre il lavoro precedente si era focalizzato su quello che stava intorno a me, a pochi passi. E così, esplorando nuovi territori sonori, smanettando molto di più con i synth che con la chitarra acustica, sono emerse sonorità diverse che ne “Gli eroi non escono il sabato” avevo solo accennato.

Altra grande differenza rispetto al passato è che ho curato maggiormente la produzione del disco, cercando di concentrare il lavoro in un determinato arco di tempo, cosa che non ero riuscito, mio malgrado, a fare prima.

Mi sembra che, a dispetto del discorso “galassia”, il disco sia piuttosto “intimo”, forse più del predecessore. Come nascono i tuoi testi?

Pensando alle galassie come contenitori di stelle, sistemi, polveri e gas, materia e antimateria, luminosità e buchi neri… concetti che rimandano a quell’altro universo fatto di sensazioni, speranze, sogni, disillusioni e amori, (vita e morte), anch’esse materiali quanto immateriali. Contenitori enormi eppur contraibili nello spazio di un buco nero o un armadio. Sono partito da questo e ho cominciato a raccontare una serie di immagini più che di storie. Mi interessava molto analizzare il dualismo fra le cose.

So che sei polistrumentista, ma mi colpisce il fatto che hai suonato tu anche tutta la sezione ritmica in molte tracce. Vorrei sapere se hai uno strumento che ritieni “primario”, e da quale strumento inizi quando scrivi un pezzo.

Nel disco precedente tutte le canzoni le avevo scritte alla chitarra e al pianoforte, in questo la maggior parte delle musiche sono nate da groove di batteria e giri di basso, a cui andavo via via inserendo tutto il resto, come una sorta di tetris.

Come nascono le numerose collaborazioni di questo disco?
Essenzialmente per amicizia e stima reciproca. Considerato che suonavo tutto io, mi premeva riuscire a caratterizzare alcune parti con tocchi diversi, allora mi sono rivolto a musicisti particolarmente bravi in determinati ambiti, il risultato è stato entusiasmante e divertente!

Spesso il tuo nome è accostato, a livello di influenza, a quello di Rino Gaetano, morto qualche anno prima che tu nascessi. Vorrei sapere come ti rapporti con questo o con altri paragoni illustri.
Non mi infastidiscono i paragoni, tutti, per forza di cose, dobbiamo avere dei riferimenti rispetto alle cose che facciamo, altrimenti non potrebbe esserci un punto di partenza e un gusto specifico. Spesso però li trovo sbagliati, nel caso specifico, conosco pochissimo della musica di Rino Gaetano e lo trovo lontano dalla mia sfera musicale, eppure sono stato spesso accostato a lui… misteri dell’indie!

One thought on “L’intervista: gli universi di Nicolò Carnesi”

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