L’intervista: Johann Sebastian Punk, senza rivali
Paradossali, eccessivi, estremisti: arrivano gli Johann Sebastian Punk. Con un disco il cui titolo cita Shakespeare (“More lovely and more temperate“), con influenze molto variegate e con il dichiarato intento di riformare la musica, il gruppo esordisce con intenti piuttosto bellicosi.
A rispondere alle nostre domande è Massimiliano Raffa, chitarra, voce, autore di testi e quasi tutte le musiche e frontman della band.
Vorrei che raccontaste la vostra storia e che mi spiegaste i vostri punti di partenza per questo disco.
Il Massimiliano Raffa compositore nasce nei primi anni zero. Al contrario di come spesso accade, alla composizione confinata alla forma canzone sono arrivato dopo e ho cominciato registrando dei brani ad alto contenuto sperimentale, fortemente influenzati dalla musique concréte e dalla musica aleatoria applicata alle volte al pop e altre volte abbandonata alla libera improvvisazione.
Alcuni lavori risalgono a quando avevo tredici/quattordici anni e pur non rientrando più nei miei gusti devo ammettere di trovarli parecchio originali. Di fatto crescendo mi sono gradualmente allontanato da questo approccio componendo brani via via più regolari ed esplorando mondi musicali diversissimi.
Tra il 2009 e il 2012 ho scritto tutti i brani che poi avrebbero portato a “More Lovely and More Temperate”. Nel 2011 ho formato la band con Giandomenico (Johnny Scotch), Lorenzo (Albrecht Kaufmann) e Simone (Pino Potenziometri), senza i quali il progetto Johann Sebastian Punk non potrebbe esistere e che ringrazio ogni giorno di essere al mio fianco e sopportarmi.
A lungo ho cercato una casa discografica invano, fino a quando la mia strada non si è incrociata con quella di Daniele Calandra degli Addamanera, che ha deciso di fondare la SRI Productions e di partire con i Johann Sebastian Punk. Poi a lui si è unita Beatrice Antolini. E da lì un mare di idee e di incertezze si è trasformato in un disco che cambierà la vita di chi saprà comprenderlo.
Ho trovato numerosissime influenze nelle vostre canzoni, molte delle quali riconducibili a generi musicali inglesi, spesso anche in contrasto fra loro. Vorrei sapere che cosa ascoltate e quali sono le vostre preferenze.
Il fatto che nel disco ci siano numerosissime influenze è parte del grande gioco, del grande scherzo che sta alla base del disco. Il punto di partenza è che purtroppo negli ultimi anni si è assistito alla morte dei generi musicali, cosa che anziché arricchire i contenuti musicali liberandoli dalle briglie delle etichette ha invece innescato delle dinamiche deleterie di totale impoverimento compositivo.
L’obiettivo di “More Lovely and More Temperate” è quello di fotografare questa totale confusione che viviamo ma con lo stesso spirito, con lo stesso ardore, e con la stessa attenzione alla composizione dell’età dell’oro della musica leggera, quel periodo che va dagli anni cinquanta del XX secolo agli anni zero del XXI. E questo non è un atteggiamento nostalgico o passatista: tutt’altro!
Condanna aspramente anzi l’immobilismo creativo diffuso richiamandosi innanzitutto all’ardimento sperimentatore di quella musica che ha segnato davvero l’arte contemporanea. Sulle influenze musicali non so cosa dire: c’è chi ci sente David Bowie e chi ci sente Klaus Nomi, chi ci sente Caetano Veloso e chi ci sente i Roxy Music, chi ci sente Elvis Costello e chi ci sente Serge Gainsbourg. Io ci sento Johann Sebastian Punk.
“Yes, I miss the Ramones” più che alla punk band americana mi fa pensare alla colonna sonora “Rocky Horror Picture Show”… E’una citazione consapevole o incidentale?
“Yes, I miss the Ramones” – che secondo il mio parere è anche il brano meno significativo dell’album dal punto di vista strettamente compositivo – trae ispirazione più dalle suite di Händel piuttosto che dai Ramones, sebbene il richiamo nel ritornello sia lapalissiano.
Sull’immaginario musical devo darti ragione: non ne sono un grandissimo amante e penso che la maggior parte dei musical famosi siano parecchio scadenti sia dal punto di vista musicale sia da quello teatrale (ovviamente NON è il caso del Rocky Horror, ma nemmeno di West Side Story, o di Jesus Christ Superstar).
Tuttavia nello spirito johannsebastianpunkiano convivono delle tecniche espressive e comunicative tipiche della commedia musicale, e ne sono parte determinante. La citazione è comunque incidentale, i contenuti del brano sono altri, è la formula espressiva un po’ camp e un po’ pagliaccesca ad essere la medesima.
Il disco ha chiaramente un lato A e un lato B separato da “Intermezzo”, con la seconda parte un po’ meno esplosiva della prima: perché questa separazione così netta?
In realtà faccio molta fatica nell’avvertire la nettezza della separazione tra la prima e la seconda parte. E’ un disco che si snoda secondo la stessa non-logica che informava le produzioni di quello che io un po’ riccardonamente e un po’ scherzosamente chiamo “Il Grande Rock”. All’epoca in un disco convivevano umori contrastanti all’interno di un album e l’incoerenza – come è bene che sia nell’arte – era un valore.
Oggi, specie in Italia, si rischia invece molto meno e ci si sta indirizzando verso la tendenza a realizzare monoliti, album brevi di pezzi tutti uguali che sembrano partoriti, oltre che da musicisti di scarso talento, da persone dalla scarsa capacità di immettere nell’opera d’arte l’ampio ventaglio delle sensazioni umane.
Il dilagare di una tendenza simile può effettivamente pregiudicare anche la percezione di un disco come “More Lovely and More Temperate”, ingenerando la sensazione che tra una canzone e l’altra o tra una parte del disco e l’altra ci sia una separazione netta. In realtà è un tutto un turbinio continuo di umori, di turbamenti, di suggestioni musicali, che ha per obiettivo quello di prendere l’ascoltatore e fargli fare un viaggio: anche con te ce l’abbiamo fatta, perché un viaggio ha le sue tappe, e tu l’hai vissuto come una sorta di catabasi.
C’è una fortissima componente teatrale nella vostra musica: come avete intenzione di renderla dal vivo?
La componente teatrale evincibile dalla nostra musica è chiaramente rafforzatissima nel nostro pacchetto live, nei limiti delle possibilità di quella che è comunque una rock band nata per suonare e non per recitare. Il nostro è uno spettacolo di teatro-canzone in cui il pubblico è co-protagonista della messinscena e corresponsabile della riuscita dei concerti.
Permettimi di aggiungere una cosa: dal vivo facciamo un lavoro molto diverso rispetto al disco. Secondo alcuni il live è addirittura superiore all’album. E io credo senza finte immodestie che gli Johann Sebastian Punk siano una delle migliori live band in circolazione, se la nostra attività live fosse un po’ più fitta non avremmo rivali. Fortunatamente il cartello delle agenzie e dei promoter permette ai nostri concorrenti di sperimentare poco il gusto di questa manifesta inferiorità.