E’ uscito da poco Senza vele, ep da sei canzoni tra il chiaro e lo scuro firmato da Maltese, cantautore con svariate esperienze e riconoscimenti alle spalle. Ci racconta il suo percorso in questa intervista.

Puoi raccontarmi la tua storia fin qui?

E’ difficile sintetizzare la mia storia fin qui, ok, ci provo… Ho sempre scritto, la mia prima “composizione” l’ ho creata a 6 anni, ovviamente, nel tempo la mia scrittura cresceva con la mia conoscenza tecnica dello strumento, il pianoforte. Credo che il voler scrivere fosse legato alla mia voglia di sovvertire le regole, al mio conflitto con l’autorità.

Non mi bastava eseguire quello che avevo davanti, dovevo suonare ad altri quello che avevo dentro io. Dopo aver lasciato gli studi classici, ho fatto un po’ di esperienze. Ho cantato in un gruppo punk, per poi passare alla psichedelia, al gospel, al blues, al folk, etc…

Ancora adesso, non riesco a legarmi a un solo genere musicale, se lo facessi, potrei annoiarmi a morte. Se parliamo dei testi, anche in questo caso, ho iniziato a scrivere poesie poco dopo aver imparato la grammatica italiana in prima elementare.

Scrivevo in continuazione ma ci vollero anni per imparare a legare l’italiano alla mia musica. Ho inseguito per molto tempo il giusto equilibrio tra il senso e la musicalità delle parole. Non mi basta dire qualcosa, il messaggio deve arrivare all’ ascoltatore come un pugno in pieno viso ma deve essere anche sottile e sublime da poter entrare dentro la sua anima.

Che tipo di atmosfera si porta dietro questo ep, che mi sembra molto legato alla realtà concreta e contemporanea?

“Senza vele” è diviso tra osservazione e utopia. Ci sono brani che raccontano la vita di tutti i giorni, la politica di tutti i giorni, le disillusioni di questi anni. Ho osservato la mia esistenza e quella di chi mi circonda ed ho scattato una serie di fotografie (qualcuna è uscita in biano e nero nonostante il “rullino” fosse a colori. Cit. ).

L’ utopia è legata al romaticismo, quello tra due esseri umani o tra un uomo ed il suo paese. E’ una lotta tra carne e macchina, tra cuore e mente, tra passione e nichilismo.

L’umore complessivo, seppure stemperato dall’ironia, mi sembra piuttosto cupo. Sbaglio o non sei molto conquistato dall’atmosfera di magnifiche sorti e progressive che sembra dominare al momento?

Ah ah, colgo una certa ironia nella tua domanda… Certo, come tutti gli italiani, sto cercando al buio l’ interruttore della luce, un qualsiasi interruttore della luce, ma continuo a fraccassarmi le caviglie contro gli spigoli dei mobili. Sono perfettamente inserito nella situazione italiana attuale.

Sono un lavoratore precario, un musicista che cerca di farsi strada tra l’appiattimento culturale e il monopolio dei talent, in “tarda” età mi sono iscritto alla facoltà di Antropologia, quindi sono anche uno studente universitario, guido un’ utilitaria che cade a pezzi, etc etc…

L’ ironia è essenziale, non riuscirei a vivere senza. A volte esagero, potrei ironizzare sulla morte stessa. Non vuol dire che io sia superficiale o inopportuno, significa semplicemente metabolizzare in fretta il dolore e guardare avanti; certo, per quanto riguarda la morte, il guardare avanti risulta un po’ complicato.

Mi ha colpito, forse perché si stacca un po’ come sonorità, il pezzo “Monsieur Bardot”. Vorrei sapere come nasce.

E’ molto semplice. Nasce d’ Estate. Durante un giro in mountain bike nei boschi, sono caduto e mi sono fatto male a un ginocchio. Costretto a casa, mi sono messo al piano per scrivere qualcosa. Di solito la mia scrittura è legata alla mobilità, le idee migliori mi vengono mentre guido, sul treno, mentre parlo con altre persone…

In quella situazione invece, mi sentivo in cattività, ero bloccato ma desideravo comunque scrivere. Cercavo di immaginare lo spazio che circonda casa mia e mi ricordai che vicino a me c’ era, e c’è, una vineria che si chiama Monsù Barbot.

Iniziai a fantasticare su un ragazzo timido che cerca di conquistare una donna. In Monsieur Bardot, uso il vino per far smuovere le cose e una vineria è il posto ideale, no? Ho pensato a una storia “pura” inserita in un contesto dionisiaco, l’estasi del luogo aiuta i protagonisti nella ricerca del piacere.

Si può pensare a questo ep come a un antipasto di un lp futuro oppure è un’opera a sé stante?

Questo ep è un’ opera a sé stante, sicuramente. Ha una sua identità e un suo filo logico, è completo. Io lo vedo come un piccolo passo, un piccolo sasso lanciato nel caos di questo mondo. Cerco di non pensare al futuro, sto provando a conquistare ogni singolo presente.

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