C’è uno strumento raro, dalle sonorità particolari, che sta acquistando una certa attenzione negli ultimi tempi: si tratta dell’hang. Non è uno strumento antico dai natali esotici, anzi è nato in Svizzera nell’anno 2000.
Marco Selvaggio, musicista con numerose esperienze alle spalle, si è innamorato di questo strumento e l’ha portato a contatto con generi musicali del tutto imprevedibili. Fino a farne un disco, The Eternal Dreamer, già disponibile in digital download ma che uscirà ufficialmente il prossimo 1° dicembre. Ecco la nostra intervista con Selvaggio.
Come nasce il progetto di fare un disco “in prima persona”, dopo tante esperienze al fianco di tanti importanti artisti?
Tutto è nato nell’aprile 2013 o forse anche molto tempo prima! Ho sempre avuto la passione per la scrittura. Spesso mi dedico alla scrittura di poesie, riflessioni e racconti. Roba mai pubblicata prima. Una piccola valvola di sfogo personale! Una catarsi insomma!
Circa 6 anni fa ho scoperto l’hang per le strade di Roma casualmente suonato da un artista dell’Est Europa. Da quel momento ho deciso di scrivere testi per delle mie canzoni e ho iniziato a comporre a modo mio.
Insieme al mio amico, compositore e chitarrista Giuliano Fondacaro, e spinto da mio padre Filippo Selvaggio (a oggi uno dei tre produttori esecutivi) sono andato a bussare alle porte della Waterbirds Records di Nica Midulla e Simona Virlinzi.
Le due storiche donne musicali mi hanno accolto a braccia aperte e Simona ha da subito sposato la mia idea di utilizzare l’hang come strumento cardine in un disco pop.
Hanno anche sin da subito apprezzato le mie canzoni che poi grazie anche ai suggerimenti di Toni Carbone si sono evolute nella giusta direzione. Da quell’incontro, aprile 2013 appunto, è iniziato il progetto “The Eternal Dreamer” che a oggi devo dire mi rende davvero felice!
È il sogno realizzato. In fin dei conti io non canto, son stonato come una campana, ma ho scritto tutti i testi e la maggior parte delle musiche (su dieci brani dell’album, tre gli ho composti da solo, altri tre brani strumentali sotto la guida di Toni Carbone, due sono stati composti interamente dal compositore G. Fondacaro e altre due tracce sono nate dalla mia collaborazione con Fondacaro).
Sentire queste canzoni cantate da questi grandi artisti mi ha fatto capire l’importanza delle collaborazioni e fatto scoprire un’altra faccia della musica.
Che caratteristiche ha l’hang e perché si presta particolarmente al tipo di musica che hai scelto per il tuo disco?
L’hang, a oggi, è considerato lo strumento più raro al mondo. Questo poiché era prodotto artigianalmente in Svizzera e non acquistabile nei negozi. Utilizzarlo nella musica house ed elettronica è stata una delle mie prime sperimentazioni, e ha colto nel segno!
Grazie a tutto ciò mi son ritrovato a suonare a Londra, Monaco, Malta, Svizzera etc… a sperimentare il suo suono dell’hang nella musica classica e lirica e da ultimo con “The Eternal Dreamer” nella musica pop.
È uno strumento molto versatile che si presta ad ogni tipologia di musica differente se usato nella giusta maniera. Unisce ritmo e melodia. Si presta moltissimo all’improvvisazione e ipnotizza l’ascoltatore.
Nella musica pop non è mai stato utilizzato in maniera così incisiva per produzioni e in questo ci sentiamo un po’ come dei pionieri. Il disco ha un sound molto sognante e l’hang devo dire che si affaccia in questo mondo mostrando il suo vero io.
Come hai scelto e come hai incontrato coloro i quali collaborano al disco, in particolare Daniel Martin Moore?
Son molto contento dei featuring del mio album. Non potevo chiedere di meglio! Le collaborazioni son nate lentamente e dopo un’accuratissima ricerca di interpreti. Ho ascoltato circa 50 cantanti per ogni canzone… all’incirca un 350 complessivamente e tutti provenienti da diverse parti del mondo.
Daniel Martin Moore dall’America, Dan Davidson dei Tupelo Honey dal Canada, Sidsel Ben Semmane che ha preso parte all’Eurovision alcuni anni fa dalla Danimarca, Hazel Tratt dall’Inghilterra, Anne Ducros da Parigi, The Niro come unico italiano e Haydn Cox da Londra.
Tutto, in ogni caso, è partito dal mio computer e da quello dei produttori. La scelta degli interpreti è stata comune, in base alle conoscenze di ognuno di noi.
Nel caso di Daniel, era uno di quelli artisti che ho scoperto personalmente e a cui ho richiesto una collaborazione, lui ha risposto alla mia email sposando il mio progetto e collaborando a distanza con me.
Ci siamo subito trovati benissimo soprattutto nel nostro modo di vedere la musica. In ogni caso con i produttori abbiamo subito concordato fosse la voce perfetta per quel brano. L’unione fa la forza! Siamo un bel team affiatato.
Come nasce la title track, che hai anche scelto come singolo?
“I’m gonna be beautiful, when you look at me, I’m gonna be beautiful, an eternal dreamer you will see”: The Eternal Dreamer è la canzone che rappresenta pienamente l’album e me stesso. È una di quelle canzoni che forse si scrivono una volta sola nella vita.
Ha con sé la carica di un sognatore che guarda in cielo con i piedi per terra. Sa bene che gli potrà cadere un giorno il mondo addosso ma ha la forza di non cadere mai sulle proprie ginocchia per andare verso l’amore incondizionato e raggiungere il proprio sogno.
L’arrangiamento è molto delicato e l’hang appare e scompare tra le calde note della voce di Daniel. Lui l’ho conosciuto online e mi ha subito colpito per la particolarità della sua voce! Calda, soffice, dolce ma anche nostalgica e malinconica! Le sensazioni che maggiormente mi appartengono!
Ho scritto musica e testi di “The Eternal Dreamer” circa un anno fa e credo che Daniel Martin Moore abbia interpretato la canzone in maniera incredibile.
Devo dire che son legato a The Eternal Dreamer in maniera davvero particolare, quasi viscerale, così come alla mia Sicilia. E’ nata in ogni caso una notte ma è stata poi lavorata lentamente in studio curando ogni minimo dettaglio.