Esce il 10 aprile “Dans la rue“, il primo disco dei Portugnol Connection. La band milanese parte da una base di patchanka ma poi spazia con grande libertà su discorsi differenti. Il disco è un mix variegato e ben suonato, lontano dai luoghi comuni del genere, con spunti interessanti: insomma, un ottimo inizio. Abbiamo posto qualche domanda alla band.

Mi raccontate la vostra storia fin qui?
Siamo una band di 7 elementi, ci siamo “consolidati” nel 2009, ma era da tanti anni che senza saperlo ci cercavamo e ci inseguivamo. Volevamo proprio questo organico di persone, e dico persone, non solo musicisti, perché per noi è sempre stato molto importante creare un ambiente fertile e solido per creare musica. E questo secondo noi lo ottieni solo se stringi rapporti umanamente profondi con le persone con cui lavori.

Sorpresi da questa alchimia ci siamo buttati a capofitto in un’intensa attività live, non importava dove, ma dovevamo suonare il più possibile, a costo di stringerci su palchi stretti e traballanti o di fare chilometri per salire su quelli più grandi.

Nel 2011 abbiamo sentito l’esigenza di produrre qualcosa di tangibile e abbiamo registrato il nostro primo Ep “Patchanka inna Portugnol Connection styla”, dal quale è stato estratto il videoclip di “Nada es como parece”. Un pezzo che ci ha dato molte soddisfazioni dato che ci ha portato alla finale del concorso “Voci per la libertà, una canzone per Amnesty International”, in un festival dove si sono esibiti artisti come Frankie Hi Nrg, Fiorella Mannoia, Niccolò Fabi e i Quintorigo, e a comparire sulla compilation ufficiale della manifestazione insieme a loro.

Abbiamo organizzato dei piccoli tour in Veneto, Calabria, Salento, Svizzera, e questo è stato sicuramente l’aspetto più divertente e appagante della nostra attività. Adesso proponiamo questo nuovo album, “Dans la rue”, figlio di tutte le nostre esperienze personali.

Secondo me siete una rock band travestita da ska/patchanka. Che musica ascoltate e da che esperienze provenite? Vi piace di più quando vi paragonano a Manu Chao o quando vi accostano ai Calexico?

Sì, direi che la definizione “Rock band travestita da ska/patchanka” è abbastanza calzante. Fin dall’inizio abbiamo deciso di attenerci alla definizione della patchanka come un “non-genere”! Nella musica esistono talmente tanti stili e influenze da cui attingere che è un vero peccato precludersi la possibilità di farlo, senza contare che ogni testo può richiedere un ambiente diverso per esprimersi al meglio.

Abbiamo sempre cercato di fare le cose a modo nostro, reinterpretando e facendo nostre le atmosfere che si intendeva evocare, evitando di entrare soltanto in cliché serrati che possono esistere persino in un non-genere. Questo a volte ci ha un po’ penalizzati soprattutto quando si trattava di inquadrarci all’interno di contesti musicali o anche semplicemente quando dovevamo presentare il gruppo ai locali.

E’ folk? E’ ska? E rock? E’ tutto quanto! E’ chiaro che la base arriva da gruppi come Mano Negra, Macaco, i Mau Mau, la Bandabardo’ , gli Africa Unite, ma sarebbe stato sterile cercare di replicare esattamente qualcosa che già faceva qualcun altro, il paragone non lo avremmo retto di sicuro.

E’ molto più interessante ricercare un proprio suono. In questo le influenze musicali individuali di ognuno sono molto importanti, all’interno del gruppo c’è chi stravede per i Clash, chi adora Marley, chi i Doors, ma anche gruppi come gli Afterhours, o i “grandi” come De André e Gaber. Certo è che se dovessimo scegliere tra i due artisti che hai citato sceglieremmo il Manu Chao leader della Mano Negra.

Mi ha colpito la lettura “in negativo” dell’Orient Express. Mi raccontate come nasce la canzone?

In realtà il pezzo si può anche non intendere come una visione negativa in assoluto del contesto. I personaggi assomigliano alle “vittime di questo mondo” di De André, ognuno con il suo piccolo sogno o progetto perso per strada, che si ritrovano a seguire in linea retta percorsi di vita che si intrecciano tra loro, su binari che non prevedono alcuna inversione di marcia.

L’Orient Express ci sembrava l’ambientazione migliore per queste storie, non sappiamo se sono ricchi viaggiatori, inservienti o clandestini, ognuno può immaginarseli come crede. Fin qui capisco che la visione può sembrare comunque un po’ angosciosa, ma la breve descrizione dei passeggeri è comunque una percezione che hanno di se stessi, non necessariamente la realtà dei fatti.

Sappiamo bene quanto possiamo essere critici e severi con noi stessi, e l’insoddisfazione è una prerogativa dell’essere umano. Nel finale del pezzo poi è sottinteso un incontro tra i “protagonisti”, l’uomo privilegiato (privilegiato soltanto per sua convinzione) e la donna dal passato tormentato, e questa unione rende sicuramente più sopportabile e divertente il lungo tragitto, metaforicamente parlando.

Non sembra ma in realtà è una canzone d’amore. Chiaramente mescolata e diluita nel calderone che circonda le vite frenetiche che siamo abituati a condurre in questo nuovo millennio. Detto tutto questo, che è la scintilla da cui il pezzo è nato, è chiaro che poi abbiamo giocato anche molto sull’immaginario popolare che suscita l’Orient Express, inteso come viaggio di lusso, e quindi il tutto può anche sembrare un’allegoria del superfluo e dell’effimero, l’interpretazione è aperta.

Quello che è certo è che ci fa infinitamente piacere che il testo possa suscitare scenari diversi da quello pensato originariamente, l’importante credo sia stimolare l’immaginazione e la riflessione.

Rispetto all’ep mi sembra che “Dans la rue” abbia un maggior numero di fonti di ispirazione e anche una voglia maggiore di sorprendere l’ascoltatore.

Sicuramente “Dans la rue” è un lavoro più maturo, non vediamo l’ora di presentarlo il 29 Marzo all’Agorà di Cusano Milanino. Con il nostro primo ep ci siamo affacciati un po’ timidamente, ma comunque con la stessa voglia di comunicare di adesso. Oggi rispetto ad allora abbiamo un po’ più di consapevolezza del sound che cerchiamo, ma la spinta creativa è la stessa.

Ci sono pezzi in questo album, come per esempio “Orient Express” di cui parlavamo, che sono stati scritti ancora prima dell’Ep, ma non erano pronti per un lavoro di incisione che fosse convincente. In questo dobbiamo ringraziare Stefano Iascone e Marco Bonanomi che ci hanno aiutato tantissimo in fase di mixaggio e post produzione.

L’ispirazione è dettata soprattutto dalla realtà quotidiana che ci circonda, soprattutto in questo particolare momento di “crisi”, abbiamo avuto voglia di aprire bene gli occhi e drizzare le antenne, come un osservatore imparziale. Su larga scala ma anche nel nostro piccolo, non si può dimenticare che la maggior parte di noi è nata e cresciuta a Milano, una città che ti conquista, ti affascina, poi ti delude e infine sorridendo rivela il suo volto, che ti piaccia o no.

Senza volerlo è venuto fuori qualcosa che assomiglia quasi a un concept album, dove la strada, la rue, è il percorso che affrontiamo ogni mattina, e date le avversità così profonde che si presentano bisogna per forza dare una particolare attenzione all’animo umano e alle sue contraddizioni. Per quanto riguarda sorprendere l’ascoltatore hai ragione, ma devo dire che i primi che vogliamo sorprendere quando componiamo siamo noi stessi. Siamo sette teste da mettere d’accordo. Questo è già sorprendente di suo!

Mi spiegate l’inclusione della cover di “Mackie Messer”?

L’idea di Mackie Messer è nata perché ci sembrava sposarsi benissimo con il resto dei testi dell’album, e quindi con ciò che ci premeva far passare. E’ una storia di malavita, di strada, attualissima! Oggi è pieno di farabutti come il protagonista dell'”Opera da tre soldi”, che commettono crimini di ogni genere ai fini del proprio guadagno personale, senza preoccuparsi delle conseguenze e delle ripercussioni sul prossimo. In più è stata scritta in un periodo storico che sembra ripresentarsi al nostro tempo.

Pezzi come “Dans la rue”, “Mackie Messer” o “il Dislivello”, parlano di questo, dell’alienazione umana che in molti casi si fa predona e padrona su tutto e tutti. Ma la svolta e la soluzione sono lì a portata di mano, basterebbe guardarsi un po’ più dentro che fuori, rimettersi al centro come individui che fanno parte di una collettività, compiere piccole rivoluzioni all’interno del proprio ambito, ritrovare il rispetto per l'”essere umano” e per tutte le sue potenzialità.

One thought on “L’intervista: tutte le strade dei Portugnol Connection”

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