Si chiama Alone il nuovo lavoro degli Spiral69, band romana che ha già una certa esperienza alle spalle, un curriculum che ha visto contatti con nomi molto importanti del rock internazionale, un ottimo seguito e tre album. Ma il mini-album di sei tracce (qui la nostra recensione) è a tutti gli effetti un nuovo inizio per la band. Come da consolidata abitudine, abbiamo fatto quattro chiacchiere con loro e questo è il risultato.
Partiamo da una domanda ovvia: perché un mini-album e non un album “full-length”?
L’idea di un mini album è venuta naturalmente, subito dopo l’uscita di “Ghosts in my eyes”, ci siamo ritrovati a scrivere brani nuovi. In pochissimo tempo avevamo tante canzoni pronte e moltissime idee…
Avevamo pensato di aspettare almeno un anno e farne un doppio album, invece poi la voglia di far sentire questi brani ha tramutato il tutto in tre mini album che pubblicheremo nell’arco di due anni!
Presentate “Alone” come una vera ripartenza per la band: vorrei sapere perché avevate la necessità di resettare e ripartire e come avete affrontato il lavoro.
“Alone” è il risultato di 7 anni di “convivenza” in una band, dentro ci sono tutte le nostre esperienze, belle e brutte, acquisite durante il nostro percorso.
Questo mix di emozioni è stato filtrato anche dal fatto che ora non siamo più un quartetto ma un trio, il nostro suono è diventato più ruvido nell’ultimo anno, il fatto di non avere più l’elemento pianoforte nella band ci ha spinto a rivedere il nostro modo di suonare, facendoci scoprire una nuova energia che si avverte chiaramente in “Alone”, facendolo percepire a noi come un nuovo inizio.
Le sei tracce risultato molto compatte e molto oscure. Avete deciso consciamente di lavorare su un disco così omogeneo o è stato frutto dell’atmosfera che respiravate al momento? Che tipo di contributo ha dato un ingegnere del suono come Frank Arkwright?
Il percorso sonoro dell’album si è auto generato progressivamente… Più andavamo avanti nelle registrazioni, più sentivamo il nostro lavoro prendere una forma omogenea e sicuramente più scura e granitica rispetto al nostro ultimo album.
“Alone” ha un suono che rispecchia molto la nostra attuale attitudine anche live… ma anche una cura e una ricercatezza negli arrangiamenti che non avevamo mai riposto in un album.
Frank Arkwright ha saputo interpretare al meglio il i nostro concetto e mood del disco, è un fuoriclasse, un esperto del genere e il suo contributo ha reso tutto l’album per noi perfetto!
Circa tre anni fa siete stati scelti da Lou Reed per la colonna sonora di “Red Shirley”. Vorrei sapere se avete avuto modo di incontrarlo e comunque che tipo di emozione è stata e che ricordo vi ha lasciato l’esperienza.
Purtroppo non lo abbiamo mai incontrato, subito dopo la pubblicazione sulla BBC di “Red Shirley” mi scrisse una breve mail d’incoraggiamento, molto affettuosa, dove ci spronava a continuare…
Quella mail (come tutta la storia in sé) mi ha lasciato un senso di gioia perenne, una specie di “pensiero felice” alla Peter Pan alla quale mi aggrappo nei momenti difficili, oltre che farmi scoprire l’immensa umiltà di un artista tanto grande.
Avete in programma eventi oltre confine come da vostra consolidata abitudine?
Saremo nuovamente in tour da maggio in poi, questa volta suonando anche un po’ in Italia ma principalmente fuori dal nostro paese.. Saremo in concerto ad Atene, Varsavia, Stoccarda, Kiev e prenderemo parte ad un famoso festival in Texas… Poi probabilmente apriremo alcune date per i Diary o Dreams e i DAF…
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