L’intervista: Yellow Moor, fiori gialli per te

Un progetto comune, due storie divergenti fino a un certo punto, poi convergenti. Ed è nato Yellow Moor, un progetto in cui si riversa molto indie rock e le esperienze precedenti (poesia, canto e danza per Silvia, la partecipazione a band come Karma, Juan Mordecai e soprattutto Afterhours per Andrea).

Gli “Yellow moor” sono fiori gialli che crescono spontanei e che hanno ispirato il nome alla band, forse anche per analogia con una certa spontaneità della loro musica. Il disco, omonimo, esce il 21 marzo, ma ci prendiamo un po’ di anticipo per scambiare quattro chiacchiere con Andrea e Silvia.

Avevate già in piedi un progetto musicale come Dual Lyd: potete spiegare la nascita di Yellow Moor e la fase pre-album?
Silvia: “Ho incontrato Andrea nel 2009, stavo preparando alcune nuove performance e gli
ho chiesto se voleva occuparsi con me dell’aspetto sonoro. Da questa esperienza sono
nate anche altre collaborazioni con artisti e coreografi legati all’ambito del teatro e della
danza, per la creazione di soundscapes. Andrea aveva all’attivo diverse collaborazioni
come bassista e come produttore per alcune band ma sentiva forte la necessità di tornare
a fare un proprio progetto.

Per me invece si trattava di poter condividere idee di produzione artistica, dedicarmi ai testi e poter continuare il mio percorso come vocalist e così abbiamo pensato che avremmo potuto tentare insieme la produzione di un disco.

Molti dei nostri riferimenti musicali affini hanno permesso poi una crescita delle idee di
composizione in maniera molto naturale. La nascita di questo progetto è legata anche a delle scelte di vita che ci hanno spinto a investire le nostre energie in luoghi lontani dalla città per ritrovare momenti di libertà e di concentrazione altrimenti quasi impossibili all’interno di una vita frenetica. Abbiamo cercato di dare a Yellow Moor un cuore “intimo” e autobiografico con un sound “forte” e diretto”.

So che parte del disco era già pronta a settembre 2011. Quali traversie hanno
posticipato la finalizzazione del lavoro?
Andrea: “La pre-produzione è stata fatta durante l’estate 2011. Nel corso del 2011 e del 2012 è iniziata la produzione esecutiva agli Studi sotto il mare di Verona con il proseguimento delle registrazioni anche nel nostro studio dove sono stati realizzati tre brani ex-novo, le voci, ed altre sovra-incisioni. Nel corso del 2013 abbiamo mixato, masterizzato e valutato modalità e tempistiche per l’uscita.

Dal 2011 ad oggi ci sono stati molti cambiamenti nelle nostre vite e non potevamo né
volevamo realizzare in fretta un lavoro di questo tipo. Abbiamo lavorato per essere
veramente convinti di aver curato ogni cosa al meglio delle nostre possibilità. Aspettando
le giuste tempistiche abbiamo potuto incontrare le persone che sono ora con noi in questo
progetto: i musicisti che completano la line-up, il management, l’ufficio stampa, l’etichetta, e tutti gli altri collaboratori con i quali stiamo lavorando.

Andrea aveva già lavorato in band importanti e comunque quasi sempre “in
gruppo”. Questo sembra (anche se magari non è così) più un discorso di “due
contro il mondo”. E’ un processo di lavorazione diversa oppure la dimensione è più
o meno la stessa?

Silvia: Il progetto, nonostante sia nato da noi due, è stato pensato fin dall’inizio perché
fosse suonato da una band, questo ha sicuramente influenzato tutto il nostro lavoro sugli
arrangiamenti e sulla resa di ogni singolo brano. Volevamo fare un lavoro che
presupponesse la presenza di altri musicisti con i quali poterlo condividere e con cui
Andrea voleva poter realizzare le registrazioni in presa diretta.

Preferisco pensarla non come a “due contro il mondo” ma piuttosto come a “due nel
mondo”. Questo per dire che lavorare di base in due, non ci ha precluso la possibilità di
poter costituire una band in cui ognuno ha portato un valore aggiunto.

E’ stato infatti grazie a Francesco, Guglielmo, Simone e Phil che siamo riusciti a
raggiungere al meglio l’idea artistica che avevamo. La co-produzione artistica affidata anche a Luca Tacconi e a Francesco Cappiotti, per alcuni brani, è stata fondamentale per migliorare il tutto nella fase di mix e arrivare al mastering con un lavoro solido. Abbiamo inoltre costituito un team per proseguire con tutta la fase successiva alle registrazioni, chiamando con noi artisti che stimiamo per occuparsi della grafica, del video e dell’immagine.

Mi sembra di poter dire che la struttura musicale delle canzoni è spesso
volutamente scarna e comunque molto elettrica e analogica. Nessuna tentazione
elettronica? Come sono nati e come sono cresciuti i pezzi?
Andrea: “Con il progetto Dual Lyd ci spingiamo di più verso una sperimentazione anche
“elettronica” e l’idea è quella di proseguire su questa linea. Yellow Moor invece è nato
come un progetto per una rock band live.

Le strutture e gli arrangiamenti si basano sull’idea “less is more” cioè far funzionare i brani
con il minimo indispensabile. L’elettronica è comunque presente sottoforma di trattamenti
analogici e digitali in fase di post produzione dove ci sembrava il caso di applicarli.

Tutte le idee per i brani sono nate durante la pre-produzione, registrando e trovando
soluzioni sia per la composizione che per le linee melodiche, ad eccezione di “Seven
lizards”, un brano che era nato con un impronta più country successivamente virata verso
un arrangiamento più vicino al resto del disco”.

Che mi dite dei testi? Qui e là si coglie qualche ironia, ma mi sembra che stiamo
tra l’onirico e, a volte, il drammatico. Come li avete scritti?
Silvia: “La scrittura dei testi è stata affidata per la maggior parte a me, tranne Castle
Burned, They have come e Supastar che abbiamo scritto a due mani e Out of the city che
invece, è un testo scritto da Andrea. Sono stati i testi l’incipit per dare forma alla
composizione anche se per alcuni brani, a livello di sound, avevamo già delle idee.
Raccontano moti interiori, situazioni, visioni oniriche e reali che appartengono al nostro
vissuto.

In generale ho preferito scegliere una linea poetica perché è da lì che arrivo per quanto
riguarda il mio approccio alla scrittura. La scelta dell’inglese è stata fatta principalmente
per raggiungere più pubblico possibile, pensando alla possibilità di portare questo lavoro
anche in contesti internazionali; inoltre per ora, è la dimensione che preferiamo per quanto riguarda la scrittura di songs.

La punta ironica che si avverte in alcuni brani è volutamente “provocatoria” e usata proprio per sdrammatizzare i temi verso cui ci siamo spinti. Non credo ci sia stata una reale intenzione “drammatica”, piuttosto il tentativo di raccontare eventi, situazioni, pensieri in certi casi più sereni e in altri meno, attraversamenti che sono la fonte per scriverne e non perdere nemmeno un istante di quello che la vita riserva.