Formicolio è l’album di debutto dei Listrea, già anticipato dai singoli, Il chiaro delle 5.30Ustione e Un formicolio. Durante quest’ultima estate la band lombarda inizia la scrittura di un nuovo nucleo di canzoni, registrate e prodotte completamente in home recording l’inverno stesso. Formicolio svela quindi un disturbante mondo che ci riporta nei locali sotterranei e nel cuore della scena musicale underground: un mondo nostalgico che mischia elementi di noise, psichedelia e progressive e che ora, dopo una pandemia globale, ci sembra fantascientifico e sconosciuto.

Formicolio è un disco di dodici canzoni scritte coralmente durante l’estate che faceva respirare, ma registrate quando l’inverno ci ha trovati ancora una volta improvvisamente distanti. Il titolo, quindi, vuole evocare quella sensazione avvertita agli arti quando devi adattarti ad una nuova posizione dopo averne tenuta una completamente diversa per tanto tempo. Una sensazione provata continuamente durante i mesi precedenti la registrazione, in senso figurato e non.  È di conseguenza un disco profondamente plasmato dal tempo in cui è stato registrato, a livello pratico ancora prima che intellettuale.

Listrea traccia per traccia

Qualche dissonanza e un po’ di rumore in partenza di Steso in carmine: molto chiari i riferimenti all’alternative rock anni Novanta, italiano e non, ma con una determinazione rabbiosa piuttosto peculiare.

Senza pause si parte a Smerigliare, animata da un drumming robusto e serrato. Poi i ritmi si alternano un po’, accendendo e spegnendo secondo opportunità. Ne risulta un pezzo vibrante e velenoso.

Un po’ più tranquille le dinamiche interne di Non ho più visto il senso nella mia vita, con Chiara Amalia: l’atmosfera è meditativa e malinconica, ma il passo comunque determinato.

Molto più psichedelico l’atteggiamento generale de L’incubo sul parquet, a partire dalla pronuncia “incùbo”. Venti psichedelici anche in Mix di umori, che però è molto più oscura, minimalista sulle prime e poi in crescita, ma sempre piuttosto dark inside.

Ecco poi la (quasi) title track, Un formicolio, che non fa nulla per dissipare le oscurità del brano precedente, anzi le approfondisce e le allarga. Rollio di batteria a squarciare veli di silenzio, movimenti di tempesta che si muovono in sottofondo.

Appena passata la metà del disco si incontra Ti oscuri, altra esplorazione tra colori cupi e luci improvvise. Il brano ha però molte vite e le esprime tutte in un percorso decisamente non rettilineo.

Potevi dirmelo un anno fa si fa acustica e intima, per un “labirinto di ombre” evidentemente pieno di rimpianti. Si prosegue affrontando Il chiaro delle 5.30, che tracima verso suoni shoegaze, come si minacciava già da qualche canzone.

Di distorsione in distorsione si procede verso un’oscillante Tutte le sofferenze, che accentua i caratteri dreamy del sound. Dreamy, ma fino a un certo punto visto che “Mi tremano i denti d’angoscia”.

Un flusso sonoro robusto tracima in Ustione, di nuovo con Chiara Amalia: la canzone si canalizza su istinti e toni molto verdeneschi, fitti e muscolari. Si chiude con Non cado mai in piedi, prolungato strumentale composto per lo più da piccoli suoni e sensazioni tenui.

Un disco di dodici brani, di cinquanta minuti (e un secondo) non è più “di moda”. Ma i Listrea sembrano preoccuparsi soprattutto di se stessi e fanno bene: ne esce un album magmatico e alterno, con vertici, abissi e molta esplorazione. Progetto interessante, da tenere d’occhio.

Genere musicale: rock alternativo

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