Atmosfere sonore che trasportano e lasciano sospesi in un tempo indefinito, come in un vortice che ti divora: questo è Piramidi, il primo album da solista di Luciano Panama, classe 1980, già leader del gruppo Entourage. Il suo esordio discografico parla di amore, di morte e di destino, elementi collegati tra loro da fili invisibili che prendono forma in otto tracce, in italiano, dal sapore autentico di un rock rassicurante che, anche se non è più di moda, sai sempre che è lì ad aspettarti quando hai bisogno di conforto.
I brani sono stati scritti, suonati, registrati e prodotti dall’artista siciliano, che per due anni ha dedicato anima e corpo al suo progetto dedicato alla libertà e all’autenticità, dimostrata dalla scelta di effettuare registrazioni in presa diretta e dal voler mettere se stesso in ogni strumento suonato, dal basso alla batteria, dall’elettronica alle chitarre. Unica eccezione per il violino di Giovanni Alibrandi e la tromba di Mattero Frisenna.
Luciano Panama traccia per traccia
La prima canzone, Le ossa, decide il tempo dell’intero disco, e lo fa con un’atmosfera cupa generata da chitarre elettriche e cassa potente, da cui si genera e rigenera il percorso artistico di Luciano Panama e gli fornisce la giusta dose di energia. Si ammorbidisce l’atmosfera con Man, dove è la voce di Giorgio Gaber a fare da apripista al pianoforte confortante che segue la linea melodica del brano. Sempre di rock si tratta, ma quello che non vuole spaccare ma tenta di riunire, sotto la sua ala protettiva, la poesia e l’anarchia, la canzone d’autore e gli spazi sonori dei grandi gruppi degli anni ’70, le ferite e il tempo che le sa lenire.
La terza traccia è L’osservatore, dove la sensualità del violino e quella della pelle nuda della protagonista creano percorsi mentali evolutivi, fino a raggiungere il culmine del sound nell’esplosione finale, dove gli archi vengono distorti mentre tutta la città va a dormire. Con questa traccia può considerarsi conclusa la prima parte del disco, e dare inizio a un nuovo capitolo: è il brano Ti solleverò a farsi portavoce di questo cambio di rotta, verso atmosfere a impronta blues e che si elevano verso chitarre elettriche distorte e batteria potente.
Determinazione, forza, coraggio, incise sulla pelle come tatuaggi che bruciano ma servono da promemoria nei momenti difficili, in un crescendo di tensione che si allevia solo sul finale. Un’intro leggera, soave, che lascia sospese a fluttuare emozioni e pensieri, come aria che si respira al tramonto, con una chitarra che, proprio Come aria, solletica i sensi e frizzante attraversa i pensieri, impalpabile. Ed è proprio l’aria che ora si fa più densa, fumosa, quella dei locali dove la Gente del presente ha voglia di fare, di sbagliare magari, ma di tentare ancora. Piano rhodes, distorsioni e linea di basso pulita e puntuale, dove anche il cantato sembra seguire la scia dell’arrangiamento.
Siamo quasi alla fine, e arriva Hey My (all’improvviso), con una sferzata di energia in pieno rock & roll, con un netto e preciso richiamo a Hey Hey My My di Neil Young. In questo brano si intrecciano chitarre elettriche e tromba, perché, come dice l’autore, non mi accontento di un pezzo rock: e allora via gli stereotipi e le etichette, e tutto ciò che crea abitudine, e via a percorsi sonori sperimentali che lasciano spazio alla voglia di suonare per il puro piacere di farlo.
Cala il sipario sulla traccia che colpisce maggiormente per la sua ricerca, stilistica e musicale, dove protagonista è una città, amata ma difficile, e il conflitto che ne deriva. Messina guerra e amore, contrabbasso, violino e chitarra acustica, mare, riflessioni e sopravvivenza: questi gli ingredienti di uno dei brani più sentiti e meglio riusciti del disco.
Con Piramidi, Luciano Panama ha attualizzato ciò che non passerà mai di moda, rendendo omaggio ai grandi gruppi rock del passato con dedizione e talento indiscutibile.
Chiara Orsetti
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