Marat, “Tempesta e calci”: recensione e streaming
Esce per Le Siepi Dischi (e in distribuzione Believe) Tempesta e calci, il nuovo ep della cantautrice romana Marat, il riassunto personale e autobiografico di questi ultimi anni che si sviluppa in cinque tracce e segue i precedenti singoli E quindi voglio cadere, Confessioni di un’onda e 1001.
Tempesta e calci è quello che rimane di questi anni, di come si è convertita la tempesta bella e potente in un fenomeno di maltempo e di come prima si tiravano i calci al mondo per spaccarlo e ora è lui che prende a calci me. Le canzoni che ci sono dentro comunque ci provano, a starsene su un binario di assoluta osservazione della realtà e aiutano a capire: a cosa serve ancora prendersi sul serio?
Marat traccia per traccia
E quindi voglio cadere è il primo brano dell’ep, subito piuttosto fitta sul piano di una critica appuntita. Non mi è chiarissimo con chi ce l’abbia Marat (un cantautore, un partner, un ex, anche un po’ se stessa?) ma è chiaro come sia molto decisa nel rancore, vestito da una voce calda e da un sound ora minimale ora più clamoroso.
Sono 1001 i piani della casa di cui si canta poi, per raccontare “una vecchia storia dipinta di noia”. Elettronica a ciuffi, castelli di carte che bruciano, tempi di meraviglia da costruire in una soluzione architettonica che si trasforma in un brano quasi epico, con tanto di organo finale.
Suonano sirene all’interno de Lo stato delle cose, che si riscopre morbida e un po’ sognante (il riferimento al fascismo in centro è chiaramente una polemica con Calcutta che fa svastiche in giro solo per litigare). In controtendenza ai due brani precedenti dell’ep, qui la cantautrice mostra un lato dolce, anche quando canta di bombe nucleari e di mondi che bruciano.
Confessioni di un’onda si muove sui sospiri, anche se poi non si può non notare una struttura sonora a più livelli, che non porta via spazio al cantato, anzi lo nobilita. Si scivola lungo gli spigoli, inseguendo desideri sfuggenti.
Cresce un po’ per volta Giuro inequivocabilmente, che chiude l’ep alzando anche la voce, ma sempre in modo molto organico e con sonorità che abbracciano più che stringere.
Nome da rivoluzionari*, maschera da portiere di hockey in copertina, titolo bellicoso, Marat sembra pronta a prendere tutti a mazzate. E invece poi no: c’è un’alternanza di umori e di sfumature piuttosto variegata in un mezzo lp ben scritto e ottimamente interpretato. Talento da tenere in considerazione.