Marco Cocci, “Steps”: recensione e streaming
Dopo l’esperienza con i Malfunk, il cantautore e attore Marco Cocci torna con un nuovo progetto musicale. Steps è l’album d’esordio da solista e rappresenta un inno alla vita.
Cocci ha collaborato con Christopher Bacco, che ha prodotto l’album tra lo Studio 2 di Padova e i famosi Abbey Road Studios di Londra.
“Questo disco lo definisco un percorso, e rappresenta i miei ultimi cinque anni di vita. Le canzoni non sono state composte con l’idea di realizzare qualcosa di finito, ma sono nate, passo dopo passo, in momenti determinanti di questo periodo. Tra il perdermi e il ritrovarmi, i brani rappresentano i momenti di distrazione e sfogo che mi hanno permesso di essere quello che sono oggi: il risultato di un percorso emotivo, da cui ne consegue l’eterogeneità del disco. Da questo il titolo del lavoro “STEPS”, nato per necessità di nascere”.
Hanno collaborato a Steps: Roberto Dell’Era (Afterhours), Lino Gitto (The Winstons), Roberto Angelini, Federico Poggipollini (Ligabue), Bobby Solo, Durga McBroom (Pink Floyd, David Gilmour), Vincenzo Vasi (Capossela), Donald Renda, Francesco Bruni (al mix).
Marco Cocci traccia per traccia
Si parte dal sound di rock da frontiera di While everyone, influenzata dalle metal ballad ma anche dal folk rock.
Una chitarra elettrica piuttosto dolorosa si muove sullo sfondo di Love Song, che ha atteggiamenti da ballata movimentata.
Più oscura e calma White Quite Place, figlia di meditazioni e giri acustici. Si cambia parzialmente atmosfera, ma soprattutto strumenti, con la breve Cry, accompagnata dal pianoforte.
Si torna alla chitarra invece con Good Day, corale e un po’ più aperta, che fa pensare a tutto quel mondo pop-rock-folk americano che va da Tom Petty ai Counting Crows.
Psychology affronta un percorso melodico che prevede di nuovo l’utilizzo di piano e chitarra elettrica. Minimale ed evocativa, ecco poi Trouble, solo voce e tastiere (defilate).
Un ritmo quasi da locomotiva in marcia contraddistingue At the Sun. Più fantasiosa e variabile l’atmosfera di Disappeared, prima cupa e poi festosa (anche se sempre amara).
Altro passaggio breve quello di Blue Boy, con ritmo cadenzato e un po’ meno acustica del resto del disco.
Ecco poi la voluminosa Days of Grace, che ha un ingresso abbastanza epico e un drumming importante e picchiato.
Molto intensa e sentita, ecco poi Sleepless man, con voce che si sdoppia e sensazioni da ballad profonda. Si chiude con Last Lost Song, che recupera compostezza ma offre un’ultima nota malinconica al disco.
C’è una certa atmosfera classica nelle canzoni di Marco Cocci, che pubblica un disco introspettivo e intimo, cercando di costruire canzoni che stiano in piedi da sole e per lo più riuscendoci.
Genere: cantautore, rock
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