Esce Contrasti contemporanei, il nuovo disco del cantautore capuano Marco Cocco, completamente autoprodotto. Realizzato, registrato e prodotto nel “MArfì studio”, Marco ha curato anche la programmazione, gli arrangiamenti, il missaggio e il mastering, che ha anche suonato “tutto quello che c’era da suonare”.
Vuoi raccontare la tua storia fin qui?
Sono nato nell’anno in cui l’Italia vinceva il suo penultimo mondiale e i Queen duettavano col Duca bianco in Under Pressure (per chi non lo sapesse sono un fan sfegatato della band inglese!). Dopo una parentesi, in età adolescenziale dedicata allo studio del clarinetto, frequentando anche il conservatorio, il baricentro delle mie attenzioni si è spostato verso il pianoforte prima e la chitarra poi, da autodidatta.
Nel 2009 ho inciso il mio primo singolo con quale sono stato invitato a partecipare al premio “musica senza etichette” a Milano. L’anno successivo una delle mie canzoni è stata passata su radio radio e nel 2012 è uscito il mio primo disco: ”Comunque”. Dopo una piccola pausa ho progettato e realizzato un piccolo studio di registrazione nel quale è nato il mio ultimo disco:”Contrasti contemporanei”.
Su quali ispirazioni nasce “Contrasti contemporanei”?
Ho da sempre avuto il desiderio di confezionare un disco che avesse un messaggio preciso e importante, con dei brani, seppur diversi tra loro ma tutti orbitanti intorno a un unico filo conduttore. Una sorta di concept album, per intenderci. Le basi di “Contrasti contemporanei” sono fondate su tutto ciò.
Si sviluppa sostanzialmente sulla rielaborazione di viaggi e osservazioni e tutti quei fattori che mettono in contrasto l’uomo, ciò che lo circonda e la necessità di evadere. Lo stesso uomo che si ritrova ancora una volta a essere quello che è sempre stato, anche nel contemporaneo e per l’appunto tutto ciò va in contrasto perché ha raggiunto, sì, livelli evolutivi importanti ma per gran parte soltanto ed esclusivamente “materiali”.
Cosa voglio dire con questo? La tecnologia è un aspetto importantissimo, se utilizzata ovviamente con criterio ed etica, dell’evoluzione ma di certo non fondamentale. Ciò che conta davvero è capire e trarre benefici dagli errori e non giustificare il tutto con:” è stato da sempre fatto così”. Se una cosa è stata sempre fatta in un determinato modo non significa che quella cosa sia una cosa giusta e che deve essere continuata a esser fatta in quel determinato modo. La guerra, per esempio, è stata una costante nella storia dell’umanità e non è una cosa giusta.
In questo periodo storico in cui tutti sono molto distratti per fortuna che c’è chi ancora si meraviglia e si emoziona osservando sia la neve danzare come in una valzer sia una notte illuminata dalle lucciole.
Hai suonato “tutto quello che c’era da suonare” nel disco: come mai una scelta di così totale autonomia?
Sono perennemente impegnato in una dura competizione con me stesso e questo disco ha rappresentato fin dall’inizio una ulteriore sfida. Ecco perché mi sono ritrovato a studiare prima e suonare poi, tutto ciò che c’era da suonare ( compresi anche gli arrangiamenti) con l’intenzione precisa di dare al lavoro un’impronta molto personale. Ovviamente questo ha richiesto molto più tempo per la realizzazione e la finalizzazione del disco ma credo e spero che ne sia valsa la pena.
Tre nomi di cantautori contemporanei italiani che ti piacciono particolarmente?
Di italiani sicuramente Mannarino, Vinicio Capossela e Max Gazzè.
Marco Cocco traccia per traccia
Suoni soffusi e atmosfere eteree quelle che accompagnano Nuvole e cielo, che apre il disco in modo cantautorale ma anche molto sfumato.
Più concreta Tra Santa Caterina e il mare, che gira sulla chitarra acustica e ha un drumming frizzante, con qualche svolazzo qui e là.
C’è delicatezza anche ne Le Lucciole, aperta dal pianoforte e sospinta da un ritmo di marcetta dolce, con il mandolino a offrire ulteriori spunti cromatici.
Passaggi sonori piuttosto decisi all’ingresso di InDecisione, sempre contrassegnata da piccole sorprese sonore, oltre che da un cantato molto fitto.
C’è un certo pathos nell’apertura di Pozzanghere, che si dissipa gradualmente con l’arrivo del pianoforte: la canzone si contraddistingue per aspetti piuttosto lirici e per una malinconia più pronunciata rispetto ai brani precedenti.
Il pianoforte sottolinea anche Gli alberi parlano nel vento, brano piuttosto incalzante e insistente.
Il Valzer della neve riporta tutto nell’ambito della poesia, tra atmosfere antiche. Assenze è un strumentale/orchestrale sempre contraddistinto da una certa delicatezza.
Si torna al canto in una baldanzosa Quei giorni freddi di febbraio, con fiati e un’aria leggermente favolistica.
Acccenti molto più malinconici quelli di Ancora no (Canzone per Melissa), che descrive e racconta con umore quasi drammatico.
La title track Contrasti contemporanei arriva quasi alla fine del disco: più che una canzone è una suite teatrale, con apparizioni in palcoscenico, quadri in movimento, suggestioni continue.
Si chiude con Millenovecentoquarantatré, anch’essa allargata e con sonorità molto elaborate e diffuse.
Proposta originale, quella di Marco Cocco, che costruisce (tutto da solo) un panorama completo e un po’ magico, fornendo una prospettiva diversa alla sua visione del cantautorato.