Testo di Fabio Alcini, foto di Alessia Ambrosini
L’ultima volta che ho visto i Marlene Kuntz da vicino erano alla Birreria Baladin di Piozzo, nel Cuneese, impegnati a realizzare il loro ultimo disco, Karma Clima. Sembra una vita fa: il clima non è migliorato (anzi) mentre il karma è sicuramente peggiorato, con una guerra in Europa in corso e altre bagattelle di questo tipo, cioè del tipo che fa ticchettare l’orologio dell’Apocalisse con una certa allarmante frequenza.
Ad accogliere questa volta il quintetto è lo Spazio Teatro 89 a Milano, spazio compatto e interessante nella periferia ovest, un po’ fuori mano dai locali “bene” e dalle venues più fighette. Non che i Marlene si facciano spaventare, anzi si calano bene nell’atmosfera del teatro, benché la lista delle defezioni alla batteria si debba allungare a causa del forfait momentaneo di Sergio Carnevale, sostituito però con energia e passione da Niccolò Fornabaio.

Il set è “aggiustato” per tenere conto degli spazi chiusi e non vastissimi, ma questo non impedisce di partire con una lunga introduzione/improvvisazione strumentale, quasi una Spora che fa anche da legante con le immagini della realizzazione dell’ultimo disco, nei tre borghi piemontesi che hanno ospitato la band durante tutta l’operazione Karma Clima. Un magma di impro-rock che altre band metterebbero in coda al concerto, e che invece è scelta di libertà porre proprio in cima al live.
Poi il magma acquista forma e luce, le foto alle spalle della band scompaiono e prevale il rosso nelle luci che contornano i cinque, che iniziano la scaletta con La fuga, prima traccia da Karma Clima, che eseguiranno nella sua interezza, secondo ordine e senza commenti parlati. “La fuga, l’oblio, la fine, l’uscita di scena, l’eclisse, il nulla cosmico”: aprire un disco e un concerto con un pezzo che si precipita a capofitto nell’abisso con un climax senza speranza è veramente molto Marlene.
Tutto tace, Lacrima, Bastasse si susseguono con il cantato che arriva un po’ impastato dal soffitto del teatro. Cristiano Godano canta quasi sempre a occhi chiusi, la figura sempre più sottile e sempre più dostoevskijana mentre gli anni procedono. Rispettosi del palcoscenico che occupano, vestono un completo scuro elegante, con un paio di eccezioni: la camicia a pois per Lagash, cappello d’ordinanza calcato in testa, e la camicia a righe per il batterista.
Marlene senza intromissioni esterne

Si alza la Laica preghiera che sul disco vede il duetto con Elisa, qui sostituita da Cristiano stesso che usa un raro falsetto per giungere agli dei. Nel concerto non trovano spazio intromissioni sonore o vocali esterne: quello che la band offre agli spettatori e ascoltatori proviene tutto dal palco.
Dopo Acqua e fuoco e Scusami, che aggiungono ritmo, elettricità e poesia, si va verso la fine del disco con le più pop (?) Vita su Marte e L’aria era l’anima (senza cori di bambini, canta Godano in prima persona, forse pentito dopo aver sentito Mr. Rain a Sanremo). A questo punto Cristiano regala qualche parola, spiegando quanto successo fin qui e annunciando che ora faranno qualche canzone arrivata prima di Karma Clima.
Si parte da Osja, amore mio, sempre sentita e intensissima, arricchita in questo caso da una coda noise che cresce un po’ per volta. Accentua invece le inclinazioni blues L’abbraccio, che serpeggia sommessa e poi sale di tono. Da Senza peso del 2003 arriva Fingendo la poesia.
Poi si infilano tre superclassici particolarmente appaganti per il pubblico: La canzone che scrivo per te, una Nuotando nell’aria particolarmente intensa e introdotta da un canto a cappella da brividi, e poi Musa, con prevalenze di suoni acustici.
Ultimo quartetto di brani prevede la storia di Paolo anima salva, poi Ti giro intorno, E poi il buio e, a chiudere, Grazie, congedo e saluto verso ulteriori tappe di una carriera sempre più significativa.
Uscendo si può fare il classico conteggio: “Eh ma non hanno fatto questa e quest’altra”, anche se è ovvio che quando si hanno centinaia di canzoni a disposizione qualche scelta va fatta. E questa volta la scelta ha privilegiato meno il lato “greatest hits” e più qualche riscoperta antica e significativa, nonché più adatta al luogo del concerto. La sensazione finale comunque è sempre quella di trovarsi di fronte una band che è un baluardo fondamentale per la musica italiana e che ha raggiunto gradi di consapevolezza e maturità artistica altissimi.
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