Con l’umile ma malcelata ambizione di fornire ai lettori di TRAKS qualcosa di “diverso”, che si possa leggere accanto, insieme, sopra e sotto la musica che accompagna le nostre giornate, questo agosto abbiamo deciso di proporre o riproporre alcuni articoli monografici che abbiamo scritto in passato, per lo più su altre testate, e che non volevamo andassero persi. Letture estive, ma anche per ogni stagione.
Questa intervista ai Marlene Kuntz è apparsa sul numero di dicembre 2021 di TRAKS MAGAZINE, la rivista online di TRAKS, dopo che ci siamo inoltrati in terra cuneese, e precisamente al Birrificio Baladin di Piozzo, per tastare il polso a Godano e compagni, allora impegnati nella realizzazione di Karma Clima. La foto è di Daniele Modaffari.
La strada che porta a Piozzo si snoda fra le colline, un filo spoglie in questa stagione, ricche però di vigne che portano a vini dai nomi leggendari o comunque sempre piuttosto graditi, tipo Barolo, Barbaresco, Dolcetto e Barbera. Ma non siamo qui per parlare di vini, anche perché i Marlene Kuntz hanno deciso di installarsi per un paio di settimane in un birrificio artigianale, uno dei più antichi d’Italia, il Baladin di Piozzo, appunto.
È questa la seconda tappa di Karma Clima, progetto in tre fasi che porterà alla realizzazione dell’undicesimo disco della band piemontese. Anzi, della band nata proprio nel Cuneese, la provincia che ha scelto anche per questa operazione di arte e di consapevolezza, per richiamare l’attenzione sui fenomeni climatici che non abbiamo più il lusso di ignorare.
Karma Clima non sarà, molto probabilmente, il titolo del nuovo disco, in uscita nei primi mesi del 2022 (e invece poi sì, Ndr). Ma unisce le tre tappe di Ostana, Piozzo e Paraloup, che hanno visto incontri, scambi, interazioni, attività di vario genere, dal culturale al ludico (tipo le sfide di petanque, specialità delle bocce, con i vecchi del paese).
Noi saliamo in collina approfittando della guida e dell’ospitalità del Baladin, e cogliamo Cristiano Godano che sta ultimando qualche giro di chitarra elettrica prima dell’intervista. Così lo andiamo ad aspettare al bar, dove arriva, primo della band, con il cappello nero calcato in testa. Viene a prendere un caffè con noi, iniziando a parlare di traffico, stampa musicale (e Rockerilla in particolare) e di varie eventuali, compresi i Maneskin, di cui non sembrava aspettarsi il successo ma nei cui confronti manifesta rispetto.
Quando andiamo poi a sederci al tavolo ci raggiungono in ordine sparso anche Lagash (Luca Saporiti, bassista nella band dal 2007), Davide Arneodo (principalmente addetto alle tastiere ma capace di suonare svariati strumenti) e Riccardo Tesio, chitarrista e fondatore della band. Come è noto un altro dei fondatori, Luca Bergia, il batterista, si sta prendendo una pausa, perciò a sostituirlo al momento c’è Sergio Carnevale che tuttavia non partecipa alla nostra chiacchierata (come è noto, Luca Bergia è poi scomparso all’età di 54 anni, il 23 marzo 2023, Ndr).
Un album aperto
Cominciamo da un’ovvia introduzione all’operazione: non mi pare che nessuno in precedenza abbia “aperto” così la lavorazione di un album. Perché l’avete fatto e perché avete scelto proprio queste location?
Lagash: L’idea sostanzialmente è quella di realizzare un’esplorazione creativa, chiamiamola così, attraverso tre luoghi della provincia di Cuneo di cui i Marlene sono parte. Questi tre luoghi sono Ostana, Piozzo, nello specifico il birrificio Baladin in cui ci troviamo adesso e Paraloup. Indagare con loro e creare una sinergia, una collaborazione con questi tre modelli con il quale sviluppare un album, l’undicesimo della band, che potesse non solo raccontare queste tre esperienze speciali, magnifiche che nell’ultimo trentennio hanno caratterizzato la loro definizione, ma che fosse l’inizio di uno scambio con il quale poter parlare e cercare di confrontarci su un tema così importante come il cambiamento climatico.
Perché questi tre luoghi? Ostana in questi ultimi trent’anni ha costruito un modello di riqualificazione architettonica che si è addirittura diffuso nel suo percorso attraverso tutta una serie di siti esteri che hanno analizzato e studiato il fenomeno. Naturalmente qui parliamo di un percorso di riqualificazione architettonica, poi sociale e poi ora culturale che pone alla base tutti gli impatti della sostenibilità, quindi impatti positivi.
Stessa cosa possiamo dire per il Birrificio Baladin, che è un’esperienza in cui, oltre al capolavoro di riuscire a creare, in un territorio diciamo così dominato dalla qualità del vino, un’attenzione così particolare alla birra, c’è in realtà anche la volontà di raccontare tutta la filiera, tutto il rispetto di ciò che è l’attenzione alle varie fasi di produzione, affinché il valore delle risorse non sia mai inquinato per motivi evidentemente economici e di mercato.
E poi Paraloup perché oltre a essere il luogo dove è nata la Resistenza, con il primo nucleo partigiano, è diventata poi un’altra esperienza in cui, alcune definizioni di impatti sull’impresa sociale stanno diventando molto importanti e sono anche lì oggetto di sviluppo e di ricerca. Quindi per noi raccontare queste realtà all’interno della provincia ci dà modo non soltanto di entrare in relazione ispirante con la creazione di questo disco, ma anche di provare a considerare come poter diffondere l’attenzione ai temi climatici, così distrattamente osservati, perché la comunità scientifica fa una fatica bestia a portarli alla luce, ma facendolo in modo che ci si possa confrontare con dei modelli concreti, che non siano solo parole.
Ma noi confrontandoci con dei modelli concreti così importanti si possa anche imparare a capire come costruire dei modelli di cultura, arte e musica talmente concreti che possano veramente aver parola a livello sociale, amministrativo e di proposta, su un tema così importante e urgente come questo. Quindi la relazione con un modello così concreto ci aiuta a essere ancora più concreti nella nostra proposta.
La lavorazione del disco è stata aperta a eventi e incontri: quali sono state le situazioni più stimolanti che sono emerse sia a Ostana sia qui?
Cristiano: Ma è stato tutto stimolante in realtà. È chiaro ognuno di noi può avere avuto predilezione per un incontro o per un altro. Io per esempio sono rimasto molto incuriosito dall’esperienza della Biblioteca vivente, che è un esperimento nato in Danimarca, se non ricordo male, e che è stato mutuato qui in Italia da chi poi ce l’ha proposto lì a Ostana. Mi pare che abbia anche creato molta curiosità nei nostri social questa realtà che prevede come discriminante importante il confronto vis-à-vis.
Adesso il tema di noi persi qui dentro (indica il cellulare, Ndr) come umanità un po’ allo sbando è abbastanza “di questi tempi”. Io ho notato molte reazioni sui nostri social: questa cosa del confronto tra due persone che si ascoltano e hanno le cose da dire. Anziché entrare in una biblioteca dove scegliere dei libri, entri in una biblioteca in cui scegli delle persone che sono i libri. Quindi tu parli con un libro, che è la persona che te lo racconta.
Questo è stato sicuramente un esperimento che ho notato più di altri. Ma anche qui a Piozzo siamo stati ad assistere alle chiacchierate di un ragazzo che corre in giro per il mondo a testimoniare dei cambiamenti climatici e delle reazioni che provocano sul pianeta; gli scioglimenti dei ghiacciai, per esempio. Questo ragazzo poi ci raccontava che quando fa queste cose corre per quaranta ore di fila! Senza dormire!
Davide: Una volta si è dimenticato di bere per otto ore! Cioè non è che non ha voluto: si è dimenticato!
Cristiano: Poi incontri con un liutaio molto bravo, ieri sera con una persona che fa suonare le zucche… Insomma gli eventi tutti insieme ci hanno fatto capire che stiamo facendo una cosa figa. Una delle keywords nostre è favorire la partecipazione, l’incontro. E queste situazioni le hanno favorite. Poi voi (giornalisti) ne parlate, sono raccontate alle persone, anche noi nella nostra newsletter lo facciamo, ci sembra che possa essere un buon esempio per andare incontro a un approccio di vita green, sostenibile. È una goccia in un mare immenso ma se noi riusciamo anche soltanto come obiettivo a far riflettere qualcuno sulla necessità di non più procrastinare, di non fare finta che il problema non ci sia già la nostra parte di artisti che provano a fare qualcosa l’abbiamo fatta.
So che il titolo del disco non sarà “Karma Clima”, ma l’avete già deciso e non ce lo dite o state ancora riflettendo?
Cristiano: Sappiamo già qual è ma non te lo diciamo. Poi chi lo sa, magari Karma Clima ci piace e ce lo teniamo, però non è la nostra intenzione.
Com’è andata la sessione di prove aperte?
Riccardo: Le sessioni aperte sono proprio momenti di studio di registrazione. Non abbiamo preparato “uno spettacolo”, quindi in base a quello che dovevamo fare quel giorno lì, ovviamente con un minimo di tempistica, abbiamo aspettato che il pubblico entrasse. Però la prima sessione ero io principalmente che dovevo fare delle parti di chitarra acustica, e abbiamo dato la possibilità di ascoltare quello che succedeva in cuffia.
Non per tutti ovviamente perché non c’erano cuffie abbastanza, ma se le passavano. Quindi chi aveva le cuffie ascoltava il brano per com’era in quel momento lì ovviamente, non sarà la versione definitiva, mancavano le voci eccetera; però il work in progress. Invece fuori si sentiva soltanto la mia chitarra. Poi alla fine abbiamo fatto sentire a tutti tramite le casse.
L’altro giorno abbiamo fatto una cosa simile ma si sentiva già anche dalle casse, quindi chi era lì sentiva una parte di tastiera fatte da Davide e una parte di chitarra fatta da me. Però si vedeva proprio esattamente così com’è: c’è un processo quindi si parte dall’intuizione, da quello che manca in quel momento. Ricerca del suono, ricerca della parte, registrazione, vari tentativi finché non si è soddisfatti.
Cristiano Parlando con due ragazzi usciti ho notato che erano molto stupiti di come si fa un disco. Dicevano: “Ah io pensavo che suonaste e si registra”. Invece è come un set cinematografico. Non è che la scena che poi vedremo al cinema viene fuori per magia coincidente a ciò che poi sarà. Sono milioni di prove, di ciak, di riprese. La stessa cosa qua: sono take sempre uguali finché non si trova quello che si cerca.
La gente però vede che non è esattamente quello che si aspettava, però allo stesso tempo ammira e capisce quello che vuol dire fare un processo artistico, che non è mai spontaneo. Cioè: ogni tanto può anche venir fuori qualcosa di spontaneo, e piace alla gente che sia spontaneo. Ma in realtà il processo artistico è l’opposto della spontaneità. Da quando lo pensi a quando lo realizzi è tutta una faccenda di correzioni, di prove e riprove. Anch’io con i testi accumulo fogli di tentativi finché a un certo punto ottiengo la forma che preferisco. E loro hanno questo privilegio di assistere a questo frangente, a questo frammento.
Davide Nelle due ore di prove che abbiamo fatto, una l’ho fatta io alle tastiere e una Ricky alla chitarra. In quell’ora ho deciso di far vedere come si costruisce un suono con un synth analogico. Quindi sono partito da un oscillatore e sono finito al suono finale. Il processo è durato un’ora. Potrebbe anche durare di più, fossimo da soli. Mi è arrivato questo feedback di uno che mi ha detto: “I primi dieci minuti pensavo di non farcela…” Io ho voluto far capire apposta, potevo fare un suono e partire da lì. Li ho messi alla prova…
Lagash C’è un’analogia abbastanza curiosa: come noi siamo entrati anche ospiti in alcuni laboratori in cui ci sono proprio delle fasi di costruzione e di conoscenza grazie alle quali noi abbiamo potuto capire come si sono costruiti questi processi di cui parlavamo prima, allo stesso modo noi abbiamo aperto una parte della nostra intimità creativa affinché si potesse “analogicamente” contribuire a questo scambio di informazioni.
(Parte un piccolo dibattito con Riccardo su quell’ “analogicamente” che in realtà dovrebbe essere un “analogamente” ma che tutto sommato sta bene anche così com’è)
Davide: Abbiamo deciso di usare esclusivamente strumenti o elettrici o acustici o analogici. Tutta l’elettronica è suonata.
La svolta elettronica
Ho letto in un’intervista di Cristiano al Corriere della Sera che parla di “svolta elettronica”. Adesso che tutti vanno verso le chitarre…
Cristiano O siamo precursori o siamo ritardatari… Mai sull’onda, quella giusta. È un fatto: abbiamo voluto provare a ribaltare l’approccio compositivo proprio. Le partenze dei nostri pezzi sono sempre state le chitarre, sia per motivi di suono sia per motivi di songwriting, di creazione del pezzo. Chiaramente se tu componi con le chitarre hai un percorso che ti porta in luoghi che dei musicisti sanno molto bene.
Se parti invece con le tastiere vai in altro tipo di luoghi. Sostanzialmente volevamo provare, all’undicesimo disco, a non partire dalle chitarre. Quindi gli spunti sonori che arrivavano da Davide principalmente che avevano questo sapore elettronico, ma suonati, fanno sì che quello che si sta per ascoltare e che la gente ascoltare non è il tipico sound dei Marlene ma nello stesso tempo tutte le caratteristiche del nostro approccio musicale ci sono tutte.
Io penso sia un disco molto intenso, molto ispirato. Questo era quello che più ci interessava. Sono cinque anni o sei che il nostro disco precedente è uscito (“Lunga attesa” è uscito il 29 gennaio 2016, Ndr) e se c’è un leit motiv sul quale io ho insistito molto con tutti sempre per approdare prima o poi alla realizzazione del disco nuovo era: cerchiamo di essere ispirati, prendiamoci tutto il tempo che ci serve per arrivare alla realizzazione del disco con tanta voglia di avere delle cose da dire e non una routine. La routine non è negativa a tutti i costi, è cercare di fare il tuo lavoro al meglio, però piuttosto aspettare un attimo, ma quando si arriva in sala prove essere al top dell’ispirazione. Credo che siamo da quelle parti.
Riccardo Aggiungo anche questa cosa: io sono nato chitarrista e anch’io negli ultimi tre anni mi sono interessato ai sintetizzatori analogici, modulari eccetera e quindi era già partito anche da me questo spunto. Non sono un pianista quindi non so bene mettere le mani sulla tastiera però mi diletto molto sui suoni e sui pattern. Quindi ci siamo messi insieme io e Davide e abbiamo fatto un po’ di suoni. Mentre quando parti dalle chitarre, se ti piace quel suono lì, ti affezioni e gli altri ingredienti diventano correzioni e sapori che aggiungi, se invece parti dall’elettronica sono le chitarre che poi si aggiungono.
Davide Il mondo dell’elettronica crea scompiglio. È come dire rock, ma nel rock c’è di tutto, c’è anche il metal. Dicendo elettronica uno pensa a sequenze o a roba per forza pop, digitale. Alla fine però sono strumenti come le chitarre, proprio anche nell’accordatura, non è che hai dei preset digitali che schiacci. Io ho un accordatore, al posto delle corde hai degli oscillatori, ma l’approccio è lo stesso.
Anche le ritmiche elettroniche non sono sequenze o vst, è tutto suonato dal moog. È molto “poco preciso”, non è una batteria elettronica, sono tutti strumenti, trattati come strumenti. Quindi nel disco ci sono soltanto strumenti reali.
Per Cristiano: com’è stato rientrare nel ventre della band dopo l’esperienza da solista?
Cristiano Sono consapevole di che cosa vuol dire creare con i Marlene e che cosa vuol dire fare canzoni senza doverle poi “mediare” con loro. Uno conto è portare le canzoni dove desidero io e un conto è fare una cosa che ho fatto per tutto il percorso artistico della mia esistenza. Sono talmente abituato a suonare con loro che è stata quella una parentesi. Al limite è stato più anomalo entrare in quella ma tornare in questa è per me niente di anomalo.
Che cosa vi piace della musica italiana di oggi?
Cristiano C’è sempre un po’ il discorso di che cos’è la musica al giorno d’oggi. Credo che ormai le classificazioni siano mainstream o non mainstream. In quel mondo là io noto più che altro che tutti stanno alzando il tiro. A me sembra che le produzioni e le band stanno dando il massimo per ottenere qualità ben sapendo che il business non c’è più. Quindi si fa di tutto per dire: ok, vaffanculo, faccio qualcosa di magnifico. Non so quanto possa durare perché è una forma di eroismo e di resistenza, però mi sembra che sia quello che sta accadendo.
Io sento uno sforzo di fare anche fottendosene dell’andare a cercare un disco che tanto non ti porterà niente, perché per ottenere qualcosa devi fare milioni e milioni di stream. In questo momento mentre parlo penso a Iosonouncane, che ha fatto un disco che è un viaggio pazzesco. E si punta a quella roba lì, immaginando che la qualità a lungo andare paga sempre. Mi sembra che in questo momento la musica italiana sia in questa fase qua. Vedremo se dura o se non dura. Questo è quello che posso dire.
Lagash Sottoscrivo tutto quello che ha appena finito di dire Cris in questo momento. In questo scenario mi attrae molto la profondità di scrittura, sto proprio parlando della narrativa, dei testi. In questi anni mi hanno appassionato molto coloro i quali hanno potuto approfondire moltissimo alcuni contenuti grazie a una lingua, quella italiana, che è evidentemente complicata per certi versi ma ti permette di approfondire molto.
E mi viene da citare Francesco Bianconi con l’ultimo lavoro ma anche Brunori Sas, per esempio. Dove c’è una precisa attenzione verso un certo tipo di contenuti e come sono stati capaci di esprimerli.
Davide Io ho un problema atavico con la musica italiana. Ho seguito moltissimo Battiato che secondo me è stato uno dei pochi artisti capaci di fondere il sound con la scrittura. Mi piacerebbe riuscire a vedere questa scrittura calata in un sound importante, e spesso purtroppo non accade. E per contro chi produce un sound interessante, tipo Iosonouncane che ha fatto un disco pazzesco, però non riesce ad arrivare all’attenzione mediatica.
Abbiamo delle teste di serie pazzesche in Italia, nell’elettronica abbiamo musicisti internazionali come Alessandro Cortini, Caterina Barbieri, Lorenzo Senni: sono musicisti idolatrati ma qui nessuno sa chi siano. Vedo una divisione tra cantautorato o un certo tipo di pop, di cui purtroppo non riesco a capire il sound, e dall’altra parte musicisti pazzeschi che non sfondano da noi.
Riccardo Confermo quanto detto da loro, mi sembra che il livello qualitativo ultimamente sia migliorato. Io non seguo la scena rap o trap, perché non è proprio il mio mondo, però mi sembra che ci sia un upgrade.
Poniamo che ora entri qui un adolescente che non abbia mai sentito niente di vostro. Avete una canzone a testa da consigliargli per dire: i Marlene Kuntz sono questi. Che pezzi scegliete?
Cristiano Io e me.
Davide Anch’io Io e me. Secondo me è uno dei pezzi dei Marlene “ultimi” che sono riusciti ad ammodernarsi in qualche modo ma mantenendo il sound delle origini.
Lagash Io per controbilanciare indicherei Musa oppure Osja, amore mio.
Riccardo Lieve.
Finita l’intervista facciamo qualche foto, ci accomodiamo a tavola con la band prima di congedarci e riprendere la strada di casa. Un paio di giorni più tardi si saprà che i Marlene, che erano tra i papabili, non sono fra i Big scelti da Amadeus per questa edizione di Sanremo, dove contavano di andare per allargare ulteriormente il messaggio di Karma Clima. Non c’è dubbio sul fatto che avrebbero anche nettamente innalzato la media qualitativa del cast. Ma le esplorazioni creative dei Marlene troveranno, come sempre, altre strade, altri modi e altre espressioni.
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