Matteo Fiorino, “Fosforo”: la recensione
A tre anni dal disco d’esordio Il masochismo provoca dipendenza (Frivola Records / A Buzz Supreme), Matteo Fiorino torna in scena con Fosforo, un album prodotto da Phonarchia Dischi.
“Fosforo è una parola di origine greca (phosphoros) e significa portatore di luce. Le conseguenze delle nostre azioni ci illuminano sempre in maniera lampante, come fulmini o fiammiferi. Questo disco contiene tracce di fosforo, come i fiammiferi, gli esplosivi e i dentifrici.”
Prodotto artisticamente da Nicola Baronti, Fosforo è suonato da Matteo Fiorino, Lidio Chericoni (Shiva Bakta) e Matteo Sideri (Tegu), con la partecipazione di IOSONOUNCANE, Etruschi from Lakota, Ottone Pesante, Calvino e tanti altri.
Matteo Fiorino traccia per traccia
Si comincia dalla pioggia: una pioggia torrenziale che presto si affianca a pulsazioni sintetiche. La voce di Fiorino racconta di un curioso Gengis Khan, con immagini e una tipologia di narrazione che può far pensare ai nostri cantautori più surreali, Lucio Dalla in primis.
Si prosegue con un già noto Madrigale fatto di suoni piccoli e grandi, di cori sorprendenti, di qualche luce e ombre che però non inquietano. La presenza di IOSONOUNCANE aggiunge un ulteriore slittamento di senso a una canzone che sembra andare in tutte le direzioni contemporaneamente.
Un po’ più regolare il passo di Un cubo, che al sapore di ballata con pianoforte aggiunge però idee soul. Si torna a sensazioni più elettroniche con Darmo, ritmata da handclaps (o battiti di mani, che dir si voglia), ma costruita su ritmi mai troppo semplici. Lo stesso si deve dire dei testi: Fiorino ha molto da dire, e anche qualche previsione da fare.
Calcide parte in modo abbastanza dramamatico, con la voce in assolo o quasi. Poi gli strumenti intervengono a fornire tridimensionalità, mentre la voce di Fiorino si inerpica e cerca di legare mitologia e quotidianità.
Si prosegue con i battiti veloci di Canzone senza cuore, accenno di pop a molti strati, per un caso strano di brano piuttosto diretto. Sensazioni più intime con San Giuseppe, che prende una festa di paese e la trasforma in una canzone dalla trama molto fitta.
Fosforo, la title track, torna a proporre un incipit quasi a cappella, mitigato da un certo rumore di fondo, anche a stemperare un testo sarcastico ma anche drammatico (“Di che morte morrò?/Che attenzione sociale riscuoterò?“). Il finale cresce piano fino a trasformarsi in una sarabanda multicolore, uno spettacolo tipo son et lumière.
Ultima traccia del disco è Galleggia anche la terra, breve ma significativa chiusura con violino e pianofortee un ritmo di marcia gentile.
Dopo un così significativo esordio, era ragionevole avere aspettative alte per il nuovo disco di Matteo Fiorino. Il quale si è preso le aspettative, se le è messe in tasca e ha fatto il disco che voleva, non quello che doveva.
Il risultato è un lavoro ricco e stratificato, che fa pensare a Dalla, come detto (un altro che aveva intitolato alla chimica un disco, con Anidride solforosa), ma anche ai migliori risultati delle generazioni più recenti, come alcune cose di Brunori. Ma soprattutto fa pensare a Matteo Fiorino, alle sue già molto evidenti qualità e a un futuro che sembra molto luminoso.