May Gray: “Londra”, la recensione
Paolo Rossi, Alberto Lepri e Mattia Giacobazzi, sotto la forma dei May Gray, pubblicano Londra: nove tracce di pop-rock cantato in italiano basate su concetti di viaggio e di scoperta (e così anche la copertina con la valigia acquista un senso).
A maggio 2014 i May Gray sono stati inseriti nella compilation Sonda Vol. 3 con il brano Tormentata Baby, occasione che vede nascere la collaborazione artistica con Marco Bertoni (Confusional Quartet, Motel Connection, The Bloody Beetroots) con il quale sono entrati in studio per registrare Londra.
May Gray traccia per traccia
Si parte con Tormentata Baby: pur fra qualche affettazione di proprio (ma si usa ancora, o si è mai usato, chiamare una ragazza “baby”?), il brano mostra una buona attitudine pop-rock, anche con una certa tendenza all’aggressività, che si appoggia in particolare sul drumming.
Minor livello di rabbia in 1000 miglia, che non parla dell’omonima corsa automobilistica bensì di rapporti amorosi contrastati, con chitarre in evidenza. Hai mai? è veloce a livelli punk/post punk, con qualche fascinazione per Foo Fighters e gruppi consimili e di nuovo la batteria a pompare con costanza.
Storie di rimpianti e di rivalse (un po’ in stile Vasco Rossi, e non è necessariamente un complimento) ne La mia rivincita, che segue un percorso robusto ma lineare. Si corre parecchio anche ne La tua pelle: senza porsi troppi confini, la canzone salta alla gola dell’ascoltatore e raggiunge i propri obiettivi con coerenza.
Si picchia parecchio anche in Mendicante, altro pezzo che, per drumming e atteggiamento, ricorda la band di Dave Grohl. La title track Londra apre con il predominio della voce, ma gli altri strumenti salgono di tono molto in breve. Lei, ancora lei mantiene la velocità a freno, anche se qui e la si fa rumorosa e più intensa. Chiusura affidata a Parole giuste, parole sbagliate, che prende la forma della ballata con tanto di pianoforte ad aumentare il volume delle sensazioni.
Piacciono di più, i May Gray, quando lasciano andare le briglie, non si adeguano troppo ai modelli di riferimento, non pensano al singolo o alla classifica delle hit, e pensano a suonare e basta. Purtroppo la spontaneità è presente soltanto a tratti nel disco, ma non c’è dubbio che il tempo per capire che cosa mantenere e cosa buttare via ci sia tutto.
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