Settimo lavoro per Michele Gazich, songwriter e violinista bresciano già a fianco di artisti come Michelle Shocked, Mary Gauthier, Eric Andersen e Mark Olson. La Via del Sale contiene undici canzoni composte da molteplici voci e lingue suonate con strumenti contemporanei (basso, chitarra, batteria), classici (violino, cello, fiati) e strumenti popolari che mai hanno avuto cittadinanza al di fuori dei loro ambiti, come il piffero dell’Appennino e la zampogna del Sannio.
Quello che nasce è una forma di folk-rock italiano, senza prestiti anglosassoni o americani, per raccontare l’Europa di oggi, fatta di resti industriali, maestose rovine del terziario, biblioteche sommerse dalle acque, città distrutte, migrazioni e barricate. Ospiti Rita “Lilith” Oberti (Not Moving, Lilith & the Sinnersaits) e Salvo Ruolo.
Michele Gazich traccia per traccia
E’ la title track La Via del Sale ad aprire il disco: note lente e storie lontane, con qualche riverbero del Nick Cave più tranquillo. Un tempo la fuga era un’arte cambia completamente umore e fa partire un folk allegro e in parte balcanico, caposselliano il suo. Terzo brano del disco è Storia dell’uomo che vendette la sua ombra, racconto faustiano scelto come singolo, che conta sulla voce di Rita Oberti.
Viaggio al centro della notte prosegue su sentieri oscuri ma più morbidi. Dia de Shabat si avvicina ai temi religiosi e tradizionali con la delicatezza che meritano. Si prosegue con un’altrettanto soffice Collemaggio, seguita da Barcellona, Sicilia, che al contrario si riscopre dura e aspra, anche grazie all’intervento della voce di Salvo Ruolo.
Si torna alla dolcezza con La Vita Non Vive, dai toni leggermente funerei. Percussioni evidenti aprono La Biblioteca Sommersa, tra libri che affogano, suggestioni bibliche e tragedie non così lontane. Una lettera dalla Barricata apre improvvisamente gli orizzonti sonori, rinunciando alle atmosfere claustrofobiche dei brani precedenti, benché gli argomenti trattati non siano particolarmente allegri. Il violino di Gazich, sempre presente nel disco, si erge a protagonista nello strumentale Fontanigorda, che chiude il disco.
Un disco forte e vissuto in prima persona, quello di Michele Gazich, che non bada a compiacere l’ascoltatore ma piuttosto a estrarre canzoni dalle proprie viscere. Album coerente e completo, che merita di essere ascoltato con attenzione.
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