Michele Scerra, “Torneranno i poeti”: la recensione
Uscirà il 16 ottobre in digital download e nei negozi di dischi Torneranno i poeti (Il Carro Matto label/distribuzione IRD) il primo album solista del cantautore folk/blues Michele Scerra (voce, chitarre, synth, percussioni), accompagnato in questo esordio da Davide Calabretta alla batteria, Giovanni De Sossi al basso, Fulvio Renzi al viola e violino, Gianfranco De Franco ai fiati e synth, Gianfilippo Boni (elettronica e tastiere).
“Torneranno i poeti” è un disco che crea atmosfere folk dalle tinte scure, è una raccolta di nove canzoni con un solo auspicio, quello di dare spazio al pensiero, alla poesia, alla lentezza: “nove tracce che raccontano di storie di passione (“Non nominare la fine”, “Alina e Vincenzo”, “Annegando”), quella passione che muove gli uomini nelle loro azioni. Dell’orgoglio di chi crede in qualcosa che non sia soltanto la speranza di una concessione che arrivi dall’alto (“Più niente da prendere”, “Omega ed Alpha”). Della ricerca della bellezza (“Come glicine”, “Il Circo Gelsomino”) Della voglia di staccarsi dalla logica dei numeri, che nel mondo di oggi hanno sempre ragione, ma non significa che siano la strada giusta – racconta Michele Scerra -. Un mondo diverso è pensabile soltanto attraverso la fine dell’egemonia dell’uomo sull’uomo (“Il volo del brigante”), questo è poco probabile, ma resta possibile. Un disco amaro, sfacciatamente politico, che trova pace soltanto nell’amore (“1,1618 song”), che resta una parola abusata, ma talmente potente da essere utilizzata soltanto una volta in tutto il disco”.
Un album e un suono quasi autobiografico, figlio di un trasferimento, quello dell’autore, da nord a sud che, nel lavoro, si fa sentire. Il disco è stato anticipato dal video di “Più niente da prendere”, disponibile su Youtube.
Michele Scerra traccia per traccia
Il disco si apre con le note morbide (anzi, molli e un po’ indolenti) di Alina e Vincenzo, storia d’amore sui generis tra un innamorato dalla vita difficile e una incantevole professionista del sesso. Una storia di redenzione? Più o meno, con fiati e piccoli contrasti sonori.
Più niente da prendere ha un passo molto più mosso, qualche disinvoltura linguistica, e sapori d’Oriente e di Mediterraneo che si mescolano alle sonorità, in un crescendo di speranze “artistiche” tra ottimismo e utopia.
Molto più tranquilla Il volo del brigante (la leggenda della Timpa del Salto) che comunque conferma una certa tendenza alla fantasia sonora: elementi piccoli, a volte di struttura, a volte soltanto come piccole spezie da mescolare nell’impasto della canzone, che alterano significativamente il sapore generale.
Viene meno un po’ dell’ironia in Come glicine, canzone più “da cantautore” delle altre, con una struttura fluida e movimentata, la chitarra che entra in contropiede, comunque colorata e ricca di vivacità.
Annegando si fa davvero pensosa, si accoccola, osserva il panorama e ascolta il lavoro paziente degli archi. Con Non nominare la fine si riprende un po’ di fiato, ma senza esagerare e inserendo comunque pause di ripensamento qui e là.
Si arriva al racconto di Il circo Gelsomino, tra piazza, voci, fisarmonica, piccoli prodigi e “colpe del destino”. Con Omega ed Alpha si passa a robuste dosi di blues, acustico ma con minacce elettriche, con un sottofondo tribale e quasi feroce a delinearsi piano piano nel percorso.
Il pianoforte si incarica di chiudere l’album, con la soffice e forte 1618 Song, in sola compagnia della voce, e poi del violino.
Un disco clamorosamente pensato ma senza avere l’aria di esserlo, quello di Michele Scerra. L’attenzione ai dettagli si coniuga perfettamente con l’esigenza di canzoni fluide, agili, vive e spesso intense. L’ironia amara si alterna con le ballate malinconiche, ma senza esagerazioni in un senso o nell’altro. Album notevole. “Perché amarsi è da tutti/è capirsi che fa la differenza”.
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