01-fronteIl cantautore Mico Argirò, originario di Agropoli, ha presentato il suo terzo lavoro in studio, intitolato Vorrei che morissi d’arte, a distanza di sette anni da Tra le rose e il cielo (2009) e  sei da Canzoni (2010). Anni impegnativi, come racconta lo stesso Argirò, “anni di lavoro e di scrittura, di registrazioni e sacrifici, di serate e, soprattutto, di nottate a lavorare: anni in cui sono cambiato, cresciuto, maturato”.

Il frutto di tanto lavoro è un album semplice solo in apparenza: dovendolo etichettare in un unico genere, sarebbe indubbiamente quello del cantautorato italiano pop. Ma ci sono infinite contaminazioni che interrompono e intervallano i brani, a partire dai suoni della vita quotidiana, dalle chitarre latine alla Santana ai giri di basso, giusto per citarne alcuni. Le sette tracce che compongono l’album hanno stili diversi, è vero, ma il risultato è fluido, senza mai risultare costruito o forzato.

Argirò ha scelto con cura l’ordine dei brani, creando dei nuclei tematici che, partendo dalla traccia centrale, si corrispondono a due a due, fornendo così risposte alle domande poste dal brano che lo ha preceduto, e offrendo una visione d’insieme più completa.

Mico Argirò traccia per Traccia

Sonorità rock-latine e arrangiamento pop per il primo brano, Vorrei che morissi d’arte. L’arte è il mezzo attraverso il quale si può sperare di salvare l’umanità dal presente decadente in cui si trova costretta, e il suo utilizzo contro gli ipocriti e calcolatori è la giusta arma per forzare il cappio delle tue finzioni / toglierti la maschera davvero.

Il suono del traffico di una strada affollata si fonde alle sonorità jazz e ai rumori di un bar nel pieno dell’attività. Figlio di nessuno è un artista di strada, che suona la tromba per i passanti, regalando musica, regalando arte, nell’indifferenza del mondo che lo circonda. Il brano si conclude sulle note, appena accennate, di O surdato nnammurato.

Saltare è, indubbiamente, il pezzo dell’album in cui si avvertono maggiormente le influenze dei grandi cantautori italiani, Fossati e De Gregori in primis. La chitarra acustica è protagonista la indiscussa di questa ballata romantica, insieme ai suoni di una stazione ferroviaria. L’amore tra due ragazzi sorprende per la sua spontaneità e la sua forza totalizzante, e anche se le esperienze del passato hanno lasciato cicatrici, non ci si può opporre. Respirare le tue ansie e farmi male / come io e te che stiamo a guardare / tutte le mie certezze… saltare.

Arriviamo alla canzone centrale dell’album, Money. Il tributo all’omonimo brano dei Pink Floyd del 1973 non è solo palese nella citazione durante il ritornello e nel giro di basso, che si inserisce prepotentemente interrompendo l’atmosfera reggae di tutto il pezzo, ma anche per la demonizzazione del denaro, visto da entrambi gli artisti come uno dei grandi mali del mondo. Un albergo di lusso ospita un festino a base di escort e droga, mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Il destino del mondo sul mignolo / e nemmeno una lacrima a lavarmi il sangue / fuori soffia tempesta.

È di nuovo l’amore il tema della quinta traccia, Chissà se tornerà. Questa volta il protagonista è un uomo anziano che non riesce a rassegnarsi alla perdita della donna amata, e, seduto su una panchina, osserva la vita di tutti i giorni. A pensarci bene da quando è morta ne è passato di tempo / Chissà se tornerà? Questa è la domanda che non gli dà tregua e mantiene viva la speranza e l’illusione di poter rivivere la propria felicità. In questo brano sono particolarmente interessanti gli accostamenti dei rumori della vita in città che accompagnano la chitarra e la fisarmonica.

Il polacco è il primo singolo dell’album, ed è probabilmente anche uno dei meglio riusciti. Qui Argirò è riuscito a fondere stili molto diversi con un risultato convincente: percussioni, chitarre elettriche, ottoni est europei e sonorità latine si mescolano, creando un pezzo che potrebbe ricordare un Raphael Gualazzi al sapore di Rino Gaetano. Protagonista del brano è un viaggiatore, senza casa e senza destinazione, che prosegue per la sua strada, senza fermarsi mai. È  una canzone di sud e di nord / Di birra e ferrovia / Asfalto amaro di via.

Anche l’ultimo brano, Lo Scacchista, è un bell’esercizio stilistico, in cui l’autore riesce a miscelare sapientemente sonorità diverse. Capiamo così che il destinatario del messaggio della title track è un abile calcolatore, che non fa nulla con spontaneità e organizza minuziosamente la propria esistenza senza lasciare spazio alle sensazioni genuine. Il messaggio vuole essere positivo, le emozioni semplici e l’arte possono offrire una vita di fuga. Lo Sai che si può stare ore e ore a inseguire un motore di un aereo, scia di un’avventura lontana? / Lo sai che si può perdere la testa / senza mai più dire basta / Innamorarsi di un fiore?

Con questo album Mico Argirò conferma le sue doti di compositore e musicista, sperimentando e osando accostamenti inusuali che regalano ai suoi brani di cantautorato una ventata di freschezza e originalità.

Chiara Orsetti