Dopo il successo delle prime date, continua il Made in the Sixties Summer Tour 2018 di Mike Sponza. Stasera, martedì 31 luglio, il bluesman italiano è in concerto in piazza Verdi a Trieste alle ore 21.00 per presentare, insieme alla sua band, il nuovo album di inediti, Made in the Sixties, disponibile nei punti vendita tradizionali, in digital download e sulle principali piattaforme streaming (distribuito da Self).
Il disco, che è uscito anche in vinile, è un personale omaggio del bluesman italiano agli anni Sessanta. In queste dieci tracce, una per ogni anno del decennio, Mike Sponza racconta sia la parte scintillante sia la parte più buia di questo periodo storico, parlando, tra gli altri argomenti, della guerra fredda e della crisi cubana, dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, della svolta artistica di Bob Dylan e del movimento studentesco del ‘68. Abbiamo intervistato il bluesman.
Puoi spiegare come nasce l’ispirazione per “Made in the Sixties” e che cosa rappresenta per te quel decennio?
Sono sempre stato attratto da tutto quel mondo culturale legato agli anni Sessanta (devo specificare “del Novecento”?): dalla musica ai film, dalla moda al design…
Ho semplicemente deciso di trasformare questa specie di ossessione in un’idea per sviluppare delle canzoni: l’incontro con Pete Brown – icona del rock blues inglese – ha dato il via alla creazione dei brani. È stato un decennio di grande progresso in tutti i campi e ancora oggi sentiamo gli effetti di quel periodo.
Hai deciso di dedicare una canzone a ogni anno del decennio: mi dici dieci cose, anche non musicali, legate ai ’60 che ti hanno colpito particolarmente?
Le prime cose che mi vengono in mente senza pensarci troppo? I Beatles-Cream-Jimi Hendrix-The Doors, la Les Paul del ‘60, la Jaguar E-Type, Roy Lichtenstein, Martin Luther King, il muro di Berlino, James Bond, Morricone, Mina, l’LSD.
Che emozione è stata registrare agli studi di Abbey Road?
È un’emozione sempre molto intensa: se ti fermi a pensare a cosa è stato prodotto tra quelle mura, è pazzesco essere lì a fare la tua musica. Allo stesso tempo è anche molto stimolante – ti viene naturale dare il massimo, essere molto concentrato e ispirato. Le “good vibrations” sono dappertutto. Nel 2014 ho registrato ad Abbey Road il mio album “Ergo Sum” e tornare allo studio 3 per “Made In The Sixties” è stato magnifico. Spero di fare il tris…
Attualmente sei in tour: che cosa ti aspetti soprattutto dalle date italiane?
Io desidero soltanto suonare al meglio, che la band sia soddisfatta e dia il massimo. I testi dell’album sono molto “densi” e a volte complessi: spero di riuscire a trasmettere al pubblico italiano i significati dei brani. La scelta di cantare in inglese da un lato aiuta a esportare la propria musica, dall’altro, in Italia, non rende le cose semplicissime. Sarà un concerto da godere!