Quattro anni dopo Wow torna la voce, dai risvolti gentili e a volte quasi infantili, di Missincat, nom de plume di Caterina Barbieri, che giunge al terzo album con l’uscita di oggi, Wirewalker.
Camminare sul filo del resto sembra una specialità della casa, per la milanese/berlinese autrice di melodie ben costruite e di idee benm arrangiate.
Ten Lines comincia a delineare le prossimità del disco: un andamento morbido ma non senza nerbo, qualche parentela con il cantautorato femminile internazionale (più Cat Power che Joan As Police Woman), un’aura pop a circondare il tutto.
Ritmata e piuttosto movimentata All I needed, in cui si percepisce la cura del dettaglio e la voglia di andare un po’ al di là del normale scheletro melodico della canzone.
Aspetti più giocosi, ma con la serietà del pianoforte, all’interno di Pirates, che ha un panorama complessivo molto colorato e scintillante.
C’è molta delicatezza nell’arrangiamento e nell’esecuzione di Bitter, che ha un retrogusto amarognolo ma che prosegue nell’attento lavoro di tessitura del disco.
Più intime le sensazioni di Don’t Let Her, benché non si scenda mai sotto un certo livello di movimento. Piuttosto pensierosa Wolf in a Sheepskin, con la chitarra acustica a regalare qualche sensazione differente.
Anche Star propende per un lato melodico molto morbido, mentre Daylight, di nuovo a seguito di un pianoforte dolce ma non privo di ritmo, si cosparge di particolari scintillanti.
Stay adotta sonorità in parte vintage, segue gli arpeggi della chitarra, ma aggiunge anche altre emozioni, sempre giocate sul filo della delicatezza.
L’ultima traccia è la title track, Wirewalker, che fa uso degli archi e di passaggi lirici per dialogare con una chitarra elettrica regolata al minimo.
Il disco presenta svariate sfaccettature, se si ha voglia di cercarle con calma e attenzione. Nel complesso ci si trova di fronte a un lavoro completo, ricco e scritto in modo convincente.
