Con l’umile ma malcelata ambizione di fornire ai lettori di TRAKS qualcosa di “diverso”, che si possa leggere accanto, insieme, sopra e sotto la musica che accompagna le nostre giornate, questo agosto abbiamo deciso di proporre o riproporre alcuni articoli monografici che abbiamo scritto in passato, per lo più su altre testate, e che non volevamo andassero persi. Letture estive, ma anche per ogni stagione.
Le sue mani, sporche di colore, hanno stretto pennelli, sigarette, seni di donna, sempre con la stessa intensità, sempre con la stessa bramosia, sempre con la stessa insolenza. Le sue mani, innervate di passione, erano solo il mezzo con cui riusciva a trasmettere su tela il risultato del lavoro di penetrazione totalizzante e destabilizzante all’interno dell’animo dei protagonisti dei suoi dipinti, un lavoro di riflessioni profonde, di profonde intuizioni, senza le quali la sua intera produzione non potrebbe avere lo stesso vigore.
Fu la madre, Eugenia, a leggere in lui il desiderio di dipingere, di non fermarsi, con caparbietà e determinazione, anche mentre la febbre lo stava lentamente divorando dall’interno. E proprio lei si impegnò a raccogliere il denaro necessario per concretizzare il desiderio del figlio di lasciare Livorno alla volta di Parigi, la città che accoglieva le anime inquiete, quelle di tutti coloro che avevano bisogno di un approdo sicuro per cercare la propria dimensione, per comprenderne la vera natura, per sentirla crescere e mettere radici.
“Il tuo unico dovere è salvare i tuoi sogni”
Montmartre, la sua Butte, diventarono casa per i primi anni, regalando al giovane Modigliani i contatti con Picasso, Brancusi, Rivera, Soutine. Rapporti complessi, quelli con i suoi colleghi, sempre velati di denigrante ammirazione, di stima a intermittenza, di discussioni all’assenzio. Italiano nel sangue, di famiglia ebraica, sempre elegante nell’aspetto, portava dentro di sé l’incontenibile desiderio di affermazione, l’essenziale necessità di comprendere l’istintività dell’essere umano, dell’essere artista, dell’essere e basta.
La scultura lasciò ben presto spazio alla pittura, perché più facilmente trasportabile, perché più semplicemente comprensibile. Le atmosfere drammatiche, i bulbi oculari quasi sempre mancanti, le pennellate violente sono solo alcuni dei fondamentali che hanno reso Amedeo Modigliani Modì. I colli lunghi, sinuosi ed eleganti, i corpi nudi, talmente morbidi da sembrare di carne, la quasi totale assenza di sfondi e paesaggi alle spalle dei protagonisti dei suoi dipinti, con al loro posto nomi scritti a grandi lettere, sono quelli che maggiormente colpiscono l’osservatore che non conosce nulla della sua storia tormentata.
Una storia a tinte forti, fatta di pennellate intense e senza mezze misure; la storia di un uomo straordinario, straordinariamente ricco di genio e creatività, straordinariamente vittima delle proprie debolezze, dell’hashish, dell’alcol, della rabbia e della furiosa smania di non avere regole. E le donne. Le sue modelle, le sue amanti, coloro che prestavano il loro corpo alle mani esperte del pittore, e dell’amante, che spesso si fondeva in un’unica, travolgente essenza.
Quella di Modì è anche la storia di un grande amore e di una grande devozione, non tanto per la persona in carne e ossa, Jeanne Hébuterne, sua compagna di vita nei pochi anni che gli furono concessi, ma per ciò che rappresentava, per la sua anima, l’anima che le permise di essere scelta come musa dei numerosi dipinti, in un dialogo interiore senza alcun tipo di limite fisico.
“Quando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi”.
E, proprio per la sua anima, fu anche madre della sua unica figlia riconosciuta, alla quale è stato affidato lo stesso nome, Jeanne Modigliani, nata del 1918. L’unica figlia, che ebbe l’onore di respirare l’aria dell’arte fin dalla nascita, che cercò di mantenere salda la memoria dell’uomo dopo la sua morte, cercando di spostare l’attenzione dagli eccessi e dalle sregolatezze per riportarle, orgogliosamente, sulla sua opera, unico argomento di discussione accettato e accettabile.
L’unica figlia, che a due anni restò orfana di entrambi i genitori in due giorni, il padre a causa della malattia che lo tormentava, la tubercolosi; la madre, incinta di nove mesi del suo secondo figlio, perché sopraffatta dal dolore, decise di togliersi la vita gettandosi dal quinto piano della sua casa. Senza tener conto della devozione e dell’amore tremendo che li legava e che avrebbe continuato a esistere a dispetto dei pettegolezzi e degli scandali, i genitori di Jeanne, da sempre contrari alla relazione, decisero di seppellirla in un altro cimitero, lontana dal suo amato Amedeo. Dieci anni dopo, le spoglie vennero fisicamente riconsegnate al loro luogo di appartenenza, vicino al suo amore, e alle sue mani, di cui, ormai, rimangono soltanto le ossa.
Questo articolo è apparso originariamente sul blog mollybrown.it