Sevdah è il nuovo album dei Mombao, disponibile in rotazione radiofonica e su tutte le piattaforme di streaming digitale, distribuito da AWAL. I singoli Rasti e Bakchalarde hanno posto le basi per la presentazione del primo album dei Mombao.
I Mombao hanno da sempre dato piena dimostrazione di sapere cosa significhi davvero sperimentare: voci effettate, contaminazioni, canti popolari che si trasformano in brani techno, ricerca sonora e ritualità si fondono generando un disegno chiaro, unico nel panorama attuale. Un’esperienza che parte dall’ascolto e culmina nella più totale immersione di mente e corpo, passando per correnti che sfiorano gli strati più profondi di ognuno di noi.
Alcuni brani sono canti popolari dell’est europa pesantemente ibridati con voci artificiali, altri sono canti turchi trasformati in chiave techno, altri sono canti yoruba nigeriani, altri ancora ibridano canzoni originali con strumenti gnawa marocchini, cercando di comunicare l’emozione di quelle parole che nella nostra lingua non esistono ma che riescono comunque a toccare le viscere di qualunque cultura.
“Sevdah” è una parola bosniaca di origini persiane che significa “affondare consapevolmente nella malinconia fino a raggiungere uno stato di grazia e poesia”. Parola che il duo ha scoperto durante un tour nei Balcani e che esemplifica la sensazione di esser sradicati, che a volte si prova in mancanza di una ritualità condivisa che sia di supporto nel dar significato a questi tempi complessi fatti di cambiamenti.
Mombao traccia per traccia
La partenza del disco è piuttosto intensa, sostanzialmente rituale: Rasti, già presentata come singolo, è tanto minimale nei suoni da risultare cantata quasi a cappella. Un “quasi” rappresentato da qualche effetto elettronico e da un pizzico di autotune, che comunque non guasta il senso ieratico del pezzo, anzi lo rafforza.
Tutt’altre idee quelle di Khoshammaddi, rock psichedelico guidato da un tamburo battente. Ma il momento acido passa in fretta e si incontra Joie, non particolarmente gioiosa, anzi oscura, ma con qualità pop che fanno pensare ai Depeche Mode.
Partenza notturna per Essaiere, che cresce gradualmente, soprattutto a livello ritmico e di percussioni, diventando una sorta di danza tribale, parte festosa e parte minacciosa.
Più occidentali gli standard cui si appoggia Sevdah, title track per tastiera, voce e batteria jazz. Ritmi composti sulle prime che si scompongono e si spettinano in un brano lungo e melodico dalle molte facce.
Si transita poi da Toipa, abbastanza rapida ma ricca di idee diverse, che sfarfallano dal coro etnico fino all’elettronica spinta. Bakcalarde è un dialogo fitto tra voci e drumming, con un che di inquieto sullo sfondo. Si finisce sostanzialmente in techno.
Kemal si apre con alcune parole recitate, prima che le percussioni diano il via a un brano che suona ambiguo e oscillante e che si intitola appropriatamente In a Dance. Il discorso accelera via via che il brano procede, assumendo forme sempre più intense e ossessive. La tromba effettata che appare nel finale conferisce qualche ulteriore tocco isterico al brano.
La chiusura è affidata a Samoa, che a dispetto del titolo ricorda da vicino danze molto mediterranee.
Uguale a se stesso ma anche sempre diverso, il progetto dei Mombao continua ad alimentarsi delle tradizioni folk di tutto il mondo per trasformarle in qualcosa di diverso e nuovo. E da questa miniera il duo fa emergere il primo album che è anche un piccolo gioiello di sensibilità e inventiva rigogliosa.